INTERVISTA
Da cosa nasce la voglia di suonare insieme e mettervi alla prova discograficamente e live?
Vi sono senz’altro una forte ambizione e passione alla base, che appartiene a tutte. Oltre ad aver trovato una grande chimica personale e lavorativa che ci porta a spingere sull’acceleratore.
Ho notato che non avete paura di osare. Quali sono i vostri riferimenti, tanto in ambito stoner quanto in rock e alternative?
Quello che produciamo dopotutto è frutto dei nostri ascolti! Le principali band di riferimento sono: Queens Of The Stone Age, Kyuss, Led Zeppelin, Royal Blood, Black Stone Cherry, Guano Apes, Rage Agaist The Machine…

Che tipo di caratteristiche secondo voi vi possono differenziare davvero rispetto ad altri “colleghi”?
Il sound, come prima cosa. Siamo difficilmente catalogabili per via delle tantissime influenze che caratterizzano i nostri brani. E la concezione stessa di show, che va oltre la semplice esecuzione.
Si è parlato tanto di questo tema…ma, voi vi siete mai sentite discriminate per il fatto di essere una all female band? O, al contrario, valorizzate? In che situazioni?
C’è sempre la doppia faccia della medaglia. Da una parte è innegabile la presenza di “vantaggi” (se così li possiamo chiamare) dal punto di vista di “attenzione mediatica” in quanto le all female band sono una minoranza e di conseguenza c’è una buona richiesta; dall’altra si deve purtroppo lottare
contro i pregiudizi che precludono ed associano la figura delle musiciste donne ad un puro fattore estetico/visivo, senza tener conto poi di quelle che sono le effettive capacità tecniche.

Dove provate, quanto e come preparate un concerto?
Abbiamo la nostra saletta, che ci permette di avere a disposizione tutto il tempo necessario senza restrizioni. Poi tutto dipende da che cosa si deve preparare, dal punto di vista della difficoltà e della quantità di materiale.
Come state vivendo questa situazione di sospensione e cosa sperate per il futuro?
Lockdown a parte, non ci siamo mai fermate. Abbiamo continuato a lavorare anche a distanza e lo stiamo facendo tutt’ora, preparandoci per i concerti futuri. Sfruttiamo questo momento di stallo per tornare poi più forti di prima.
RECENSIONE
Vi piacciono le belle donne che suonano rock, vero?! Beh, e se suonassero stoner rock? Vi assicuro che vi piaceranno ancor di più! Mi riferisco nello specifico alle Slut Machine, giunte al quarto album in studio intitolato Black Cage. Le sei tracce esplorano la parte più oscura e profonda della mente, con testi che descrivono azioni e reazioni, luci e ombre di stati mentali estremi.
Quello che salta subito all’orecchio, fin da I’m Done, è la cazzutaggine del sound. Tipico, sì, dello stoner più ferale, e quindi apparentemente inadeguato ad una band femminile. Che però se ne sbatte, e fa bene. E si sente anche quando Sara Matera intona arie melodiche, ma sempre toste, come nella riuscita Bug in the Glass.
Questo lavoro è in realtà più ascrivibile all’ep, ma il termine album mi torna utile per sottolineare quanto riuscito sia tutto il platter, adatto quindi per essere inserito nella cosiddetta “discografia ufficiale” della band. Che non rinuncia mai a mostrarsi per come è, anche con sound più alternativi (Man in the Black Cage).
Servono gruppi così, che si lascino andare aldilà degli steccati. I’m the Sun, con un lungo incipit atmosferico, ne è esempio definitivo. E ancora una volta riuscito. Le Slut Machine mettono da parte le figatine tipiche dello shredder e mettono tutto al servizio di Black Cage. Brave!