20 anni con la PELLE dura: Paletta dei PUNKREAS spiega la genesi dell’album che ha sublimato il punk italiano

I Punkreas sono storia della musica indipendente italiana. Quella vera, partita dal basso e arrivata in alto. Ma sempre con le proprie forze. In occasione del 20ennale di Pelle ho quindi voluto intervistare Paletta, che già mi era capitato di sentire quando collaboravo con Rumore. E ne è nata una conversazione molto sentita, anche perché si tratta del mio disco preferito della band lombarda. Un gruppo che ho visto live 4/5 volte, e che ogni volta è riuscito a lasciarmi dentro grande energia. Per non parlare del divertimento…

Intervista di Francesco Bommartini

Come va Paletta?

Praticamente come, te chiusi dentro in camera a farci video interviste. Speriamo di poter tornare a farle dopo i concerti, anche perché le previsioni per il settore sono veramente nere: saremo gli ultimi a ripartire per motivi di assembramento. Ma c’è gente che se la sta passando ancora peggio quindi dai, andiamo avanti.

Sei cofondatore e bassista, nonché corista, dei Punkreas…

Esatto, cofondatore insieme a Cippa e Mastino. Noyse è arrivato l’anno dopo. Avevamo avuto in regalo un una cassetta dei Sex Pistols e ce n’eravamo innamorati. La nostra prima saletta era ricavata in un oratorio dove c’era un prete veramente alternativo, che aveva abbracciato subito l’idea di far suonare dei ragazzini.

Il motivo principale dell’intervista sono i vent’anni di Pelle, il vostro album che è uscito nel 2000. Cosa ricordi della tua vita in quel periodo, della lavorazione del disco e del suo successo?

E’ stato una grande svolta. Siamo andati a registrarlo a Torino e per la prima volta siamo rimasti un mese lontani da casa. Eravamo con questo grandissimo produttore che purtroppo è morto qualche anno fa in un incidente stradale.

Avevo proprio letto la notizia qualche anno fa. Tra l’altro è un produttore che ha fatto benissimo, con artisti da Max Pezzali a Caparezza…

Si chiamava Carlo Ubaldo Rossi ed era bravissimo. Per noi è stato un modo di registrare e di mixare completamente diverso da quello da quello che facevamo prima. Avevamo sempre registrato in presa diretta, quindi tutti insieme senza andare ad agire sulle sonorità. Pelle è IL lavoro dei Punkreas, un po’ per completezza, un po’ per sonorità. Ha un suono veramente diverso dagli altri.

Una canzone che amo tantissimo è Terrorista Nato nella quale proprio questa potenza del suono, del riffing, esce in maniera preponderante…

Si sente la potenza di fuoco. Secondo me è il disco più bello che abbiamo fatto. Certo, c’è il caposaldo Paranoia e Potere, però come potenza e come sviluppo delle canzoni Pelle per me è ancora imbattuto. I TransEuropa studio erano in centro a Torino, in uno scantinato in centro a Torino. Noi eravamo di stanza all’hotel Giotto. Facevamo seratone divertenti e la mattina si registrava, dalle 9,30-10. Torino è una città meravigliosa, una città dove ogni sera succedeva qualcosa e noi non ci perdevamo niente. E’ stata la prima volta che ho suonato con gli altri in cuffia, in multitraccia.

Da lì avete sempre usato quella metodologia di registrazione?

Sì, tranne il penultimo disco che abbiamo fatto sempre vicino al Piemonte, vicino a Cuneo, dove abbiamo suonato tutti assieme, mentre assoli e altre cose sono state inserite dopo. Quando suoni in presa diretta è fondamentale che innanzitutto non sbagli la batteria, gli altri errori si possono correggere. Quello è il contro, il pro è che il tiro della canzone è salvaguardato.

La bravura di Rossi è stata anche quella di riuscire a mantenere questa grandissima energia nel disco, facendo sì che il risultato non sia artefatto. So che c’è un vinile in uscita…

Sì, c’è questa novità che ci è arrivata un po’ a sorpresa. Pelle lo avevamo fatto con UDP, che era un’etichetta del bresciano. Il vinile è stato pensato dal boss di UDP per il Record Store Day E’ un’edizione limitata e numerata, in vinile rosso, 180 grammi. Ce ne siamo fatti dare tre copie. Con lui avevamo fatto anche Falso e il video di Sosta, quando ancora si vendeva. Poi purtroppo anche lui è finito nel grande calderone della tecnologia e come tanti ha dovuto chiudere. Ogni tanto va a fare i mercatini. Ha creduto molto in noi. La sua bravura è stata quella di mettere sotto licenza il primo disco dei Prodigy (The Fat of the Land), che ha avuto un grande successo vendendo qualcosa come 400 mila copie. Erano tempi in cui ci si poteva permettere di stare un mese in albergo a Torino con pranzi pagati, cose che adesso non potremmo più sostenere, così come nessuna etichetta indie.

Sosta dei Punkreas

Ti ricordi come girava il mondo in quel periodo?

Era antecedente alle Torri Gemelle…avevamo vent’anni. Si utilizzava poco il cellulare, c’erano i primi Nokia e non esisteva la dipendenza che c’è adesso. Ricordo i primi dvd, era già l’epoca del cd, se ne vendevano tanti. Le auto avevano il lettore cd, adesso mio figlio non sa neanche cosa è un lettore cd.

Mi stai chiamando da Milano?

Sì, ci abito da 25 anni. I Punkreas sono originari di San Lorenzo di Parabiago, una frazione vicina a Legnano. Sono l’unico che abita a Milano e quindi faccio avanti e indietro. Abito tra piazzale Lotto e piazza Napoli, sulla circonvallazione.

Io ti chiamo da Villafranca di Verona, che ultimamente è diventata abbastanza celebre per il Rock the Castle

Mi pare che ci sia stato Cippa. Sì! E’ stato a vedere i Rammstein. Aveva un pezzo di fumo e c’era polizia da tutte le parti che faceva perquise. Mi ha detto che è stato un concerto della Madonna. Abbiamo dei buonissimi ricordi nei primi anni ’90 nella zona veronese. C’era un locale che si chiamava Downtown, era a Bovolone. Ci sono passati un sacco di gruppi che facevano il nostro genere nel ‘93 o ’94.

Ci sono tre brani di Pelle che si ricollegano in modo abbastanza inquietante con quella che è l’attuale condizione. Vorrei un commento su tutti e tre partendo da Voglio Armarmi, relativamente al boom degli acquisti di armi negli USA. Cosa ne pensi e sei mai stato negli Stati Uniti?

Mai stato negli Stati Uniti e avrei molta paura ad andare in giro là, anche se da quello che vedo nei documentari ci sono dei posti meravigliosi. Ma l’attitudine e il pensiero della gente sono eccessivi, per me. Purtroppo devo dirti che Voglio Armarmi è una canzone che rimane tristemente attuale: se vai a vedere i numeri delle vittime e dei morti da armi da fuoco è impressionante. Purtroppo c’è  questa lobby delle armi che riesce persino a far eleggere i presidenti. Questa corsa alle armerie appena si è diffuso il virus sarà avvenuta perché la gente già pensava che se fossero finite le derrate alimentari ci sarebbero stati scontri. Voglio Armarmi è anche una delle mie canzoni preferite dei Punkreas, e uno dei nostri più grandi successi. Parte con questa mitragliata ed è stato abbinato con un video che è stato animato da Davide Toffolo (autore di una graphic novel su Pasolini) dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Diciamo che è una canzone veramente pesante, lascia l’amaro in bocca, pur avendo l’ironia caratteristica delle nostre canzoni.

Voglio Armarmi

Insieme a Sosta è stato il singolo di Pelle che ha avuto più impatto…

Assolutamente sì. Sono brani che continuiamo a fare live, così come Sotto Esame e Zingari.

Un altro singolo era stato Terzo Mondo…

Esatto, altra canzone che mi è sempre piaciuta e di cui ho scritto il testo. E’ di difficile fattura dal vivo, ma ha dei suoni splendidi. C’era questa tromba molto valida e la gente ha apprezzato. Insieme a Zingari e Sotto Esame è la canzone più smaccatamente ska di Pelle…

E proprio Sotto Esame è un altro brano che secondo me si ricollega a questo periodo. E’ una canzone che parla di controllo, se ho interpretato bene. Ora sta per essere licenziata dal governo un’app per monitorare i contagi e si è alzata la voce di chi diche la privacy sia messa in pericolo…

Diciamo innanzitutto che il nostro paese non ha investito molto sulle tecnologie e sulla cultura. I migliori medici, i migliori scienziati se ne sono andati all’estero. Pochi giorni fa il sito dell’Inps è andato in down dopo 5 minuti. Secondo me la scusa della privacy è un po’ stupida. Penso che anche te come me stamattina sia arrivata la telefonata della compagnia telefonica, della compagnia del gas, insomma di qualcuno che ti chiedi come faccia ad avere il tuo numero di telefono. Probabilmente lo ha ceduto qualche altra compagnia. Sanno perfettamente chi siamo, sanno i nostri gusti, ci bombardano di prodotti. Secondo me questa app servirà a poco, avrei preferito se si fosse investito veramente forte per far per aprire dei centri analisi e per raddoppiare i tamponi. Oggi tutti hanno il tuo numero di telefono. Ci sono dei numeri che mi sono segnalato e non rispondo più. Se mi capita dico “guardi, non mi interessa, buona giornata”. Però pensare a sti cacchio di poveri cristi che si prendono una paga da fame dalle multinazionali di merda per romperci le scatole…Multinazionali che non hanno neanche le palle di pagare degli italiani ma fanno chiamare dall’altra del mondo per pagare un po’ meno, cioè…va’ a cagare!

L’ultima canzone che in cui ho trovato particolare riscontro sull’oggi è Fegato e cuore in cui parlate criticamente dei trapianti di organi. Se ho ben interpretato siete rimasti così critici vedendo anche quello che sta accadendo?

Bisogna contestualizzare le canzoni nel periodo in cui sono state scritte. Noi non siamo mai stati contro i trapianti di organi. Anzi, penso che sia una cosa fondamentale, di vitale importanza. Ma in quel periodo era venuto alla luce che chi aveva i soldi poteva prendersi un rene del poveraccio che se lo vendeva. E poteva saltare le prenotazioni, mentre il povero di turno magari faceva in tempo a crepare. Quindi quello era il livello di protesta. Ma ripeto: massimo rispetto all’Aido e alle realtà che si occupano di queste situazioni. Secondo me donare gli organi è un atto d’amore gigantesco, anzi senza i donatori di organi tanta gente non ce l’avrebbe fatta. Quello che non ci piace sono le speculazioni su queste cose.

Ho riascoltato il brano l’altro giorno e ho apprezzato ancora una volta la diversità dei vostri pezzi.

Guarda, una nostra caratteristica è spaziare dal reggae allo ska, dall’hardcore al punk melodico rimanendo riconoscibili. Secondo me questo è uno dei segreti della nostra longevità. Siamo in giro da 30 anni e non abbiamo mai proposto un disco che suonasse solo in una certa maniera. Mi ricordo bene che per quella canzone c’è stato questo uso della dopa, il suono iniziale prima che parta il riff. Noi non lo conoscevamo ma è roba che fa tremare veramente i muri. Pelle è un disco completo e infatti ci manca moltissimo Carlo. Lui aveva questo modo unico di lavorare…lo vedevi con la cuffia e lo sguardo immerso nel vuoto e non si capiva cosa stesse facendo. Poi si girava e diceva “sentite qui”, ed erano belle sorprese!

Avete lavorato anche dopo con lui?

Sì, abbiamo fatto tre dischi insieme. E’ morto in modo grottesco. Si era fermato in pausa pranzo, credo stesse registrando Caparezza. All’epoca lo studio non era più in centro a Torino ma in un posto meraviglioso in mezzo ai boschi, con depandance per gli artisti. Era andato a mangiare in un ristorantino in moto. Mentre tornava allo studio si è accorto di aver dimenticato il cellulare al ristorante e, facendo inversione di marcia, è stato investito da una macchina che l’ha ucciso sul colpo. E’ stata una bruttissima notizia.

Un live del 1999

Adesso ti faccio una domanda un po’ complicata: qual è il tuo pezzo preferito di Pelle?

Devo dire Voglio Armarmi. L’ho scritta durante una vacanza in Grecia con Noyse, in spiaggia. Forse è stata l’unica vacanza che abbiamo fatto insieme. Nel brano è venuto fuori il mio antiamericanismo. Non posso sopportare che una nazione che si dice la più democratica al mondo abbia ancora la pena di morte e sia fondata sull’uso delle armi, consigliando ai suoi cittadini di avere un’arma in casa per mantenere la sicurezza. In Voglio Armarmi c’è questa partenza con la batteria che mi sembra una sventagliata di mitra. Il pezzo mi è nato sentendo che in Usa neanche a scuola possono essere sicuri di vivere con gli amici. Columbine è indicativa, ma le sparatorie sono all’ordine del giorno. Vedere gli asili con i metal detector mi dà solo rabbia. Fortunatamente qua in Italia la proposta di decreto sicurezza che voleva facilitare l’introduzione di armi è caduta nel vuoto. Sarebbe stata una strage. La maggior parte delle persone che in Italia sono morte per colpi di arma lo hanno fatto per mano di ex Carabinieri, guardie giurate e comunque di persone che potevano detenere un’arma.

Voi avete dedicato una canzone del penultimo disco a questo tema

Abbiamo fatto una canzone a favore dell’associazione contro gli abusi in divisa, che si è occupata per prima del caso Cucchi. E’ praticamente una Onlus che ha messo a disposizione avvocati che entrano in gioco nel momento in cui un “uomo della legge” vuole portarti dietro le sbarre, come è capitato a Parma quando ammazzarono quel ragazzo. Immaginati: tu ti trovi dentro una caserma avendo paura di non uscire più da lì. Non voglio fare di tutta l’erba un fascio, perché ci sono tantissimi appartenenti alle forze dell’ordine che sono persone che rischiano la vita, per bene e oneste. Purtroppo però la storia ha dimostrato che quando trovi delle mele marce non hai scampo. 80078605 è il titolo del brano e il numero verde che puoi chiamare se ti dovessi trovare in una situazione del genere. Purtroppo è un servizio tristemente fondamentale

Mi hai acceso un po’ la curiosità parlando di Voglio Armarmi: la fase compositiva di Pelle come è stata?

Ha funzionato fondamentalmente come per tutti gli album. Noi componiamo diversamente rispetto a tanti cantautori che magari prima scrivono il testo e poi vanno a cercare la musica. Facciamo tante prove. E anche allora chi aveva un giro lo buttava giù in maniera scarna. Poi io mi portavo il lavoro…al lavoro, nel senso che facevo il calzolaio e avevo la possibilità di farlo, grazie anche a datori di lavoro fricchettoni che mi davano parecchia libertà. Era un lavoro poco concettuale e molto manuale, e quindi avevo la possibilità di lavorare e studiare le mie cassettine che portavo dalla sala prove. Non ricordo troppi pezzi che sono stati portati già pronti. Veniva portato un riff, si sviluppava, si cercava di fare l’apertura per il ritornello e poi dopo ci si costruivano sopra i testi. Capivamo già nel frangente compositivo che quello sarebbe stato un disco diverso. Ci piaceva praticamente tutto quello che stava uscendo. Da Carlo siamo andati con le canzoni molto scarne, tutti quei piccoli particolari come il suono della batteria su un certo pezzo, il colpo di rullante, magari il riverbero in quel punto e la componente potente sono merito di Carlo. E’ stato anche per quello che abbiamo venduto di più, arrivando quasi a 90.000 copie di cd. Adesso con quella cifra ti danno il disco d’oro. Noi siamo rimasti coerenti, comunque. Una canzone come Pirati, nella quale si inneggia alla pirateria, è nata perché ci sembrava sbagliato che un prodotto che prima era stato sempre a portata di mano costasse 25 euro. Ti perdevi un sacco di gruppi che magari avresti voluto ascoltare perché non avevi i soldi e quindi la libertà di apprendere. Oggi non c’è questo problema, mannaggia per noi artisti, però devo dire la verità…ci sono pro e contro nello streaming, ma puoi ascoltarti di tutto mentre il contro è che pubblicano proprio di tutto, anche a discapito della qualità. Fai fatica a cercare la cosa bella perché è immersa in un mucchio di merda. Non c’è più la selezione all’ingresso.

E ora la domanda tanto attesa: che cambiamento hai visto negli ultimi vent’anni della scena punk e musicale italiana? In fondo fino a poco tempo fa eravate accasati con Garrincha, etichetta indie per eccellenza…

Sì, ci abbiamo fatto il penultimo disco. L’ultimo invece ha la distribuzione di Universal ma è prodotto direttamente dalla nostra etichetta Canapa dischi. Devo dirti che eravamo un attimino una mosca bianca in Garrincha, ma non gli unici. C’erano anche i Bluebeaters. Abbiamo conosciuto i ragazzi del Lo Stato sociale e abbiamo capito che, malgrado il modo di fare le canzoni e la tipologia fosse differente, andavamo d’accordo. Ci siamo trovati per fare dei concerti di beneficenza per il Chiapas, per i detenuti. Insomma diciamo che gli intenti e le idee con Garrincha erano molto simili. La scena invece è bellissima, è molto viva, però purtroppo la grande differenza è che si fa fatica ad uscire, a suonare. Noi abbiamo avuto la possibilità grazie ai centri sociali di andare in giro per l’Italia, di far sentire il disco in tutte le regioni. Purtroppo dopo tante chiusure, tanti sgomberi non è più possibile. Peccato perché il pubblico era veramente a 360°. Io uscivo, andavo a vedere un concerto e non sapevo chi c’era quella sera. Potevano suonare veramente tutti. Dopodiché, con la scomparsa di tanti centri sociali, sono rimasti sempre meno locali che danno la possibilità a questi nuovi gruppi emergenti di uscire. Noi siamo molto in imbarazzo quando facciamo suonare dei gruppi che ci sono piaciuti di spalla in questi locali dove ormai la mentalità è quella che il concerto deve finire prima di mezzanotte, perché poi si fa il biglietto per la discoteca. Va sempre a finire che il gruppo prima di noi suona alle 8,30-9 con davanti noi cinque. La maggior parte dei locali non prende più neanche il gruppo spalla. Se poi fanno più soldi con la cover band e coni i dj è dura…non dare la possibilità ai gruppi di esibirsi dal vivo e di farsi conoscere è stata un la rovina di tutto.

Devo dire che vi fa onore il fatto di scegliere delle band che vi piacciono in apertura. Poi personalmente io arrivo sempre fin dalla prima band…

Sì, perché ti piace! Poi per carità, magari c’è tanta gente che comunque finisce tardi di lavorare, sa che i Punkreas iniziano alle 22:30 e arriva alle 21:50, quando il gruppo prima ha già finito. Perché con gli spostamenti degli strumenti e tutto quanto, e con la necessità di finire a mezzanotte…

Mi ha stupito molto il fatto che ad Amsterdam piuttosto che a Berlino i concerti inizino tendenzialmente alle 20,30 – 21 e finiscano verso 22,30, con ancora un sacco di serata davanti.

E’ una loro cultura. Quando abbiamo fatto il trittico in tour Amsterdam-Bruxelles-Londra…in quest’ultima città il concerto è iniziato alle 20,15 con il locale strapieno! Alle 22,30 il locale ha chiuso e la gente poteva andarsi a godere la serata a Londra. Idem ad Amsterdam e Bruxelles. Poi siamo andati in Puglia e siamo saliti sul palco all’una di notte. Abbiamo finito alle 3! E lì alle 20,30 non c’era ancora apparecchiato. Una cultura completamente diversa. Invece dobbiamo ammettere che a Milano la maggior parte dei locali inizia molto presto.

Polenta e Kebab

Ci sono dei vostri album che a tuo parere meritavano più riscontro non l’hanno avuto?

No, direi di no. Alla fine tutti hanno avuto quello che si meritavano. Poi il giudizio della gente è sacro e quindi non ti devo negare che c’erano canzoni pur belle su disco non rendevano dal vivo. Non mi vergogno a dire che la nostra scaletta non può non contenere Voglio Armarmi, La Canzone del Bosco, Aca Toro, Il Vicino, Canapa. Secondo me è giusto che ci siano. Tanti artisti portano in palmo di mano il disco nuovo e “che il pubblico se ne vada a fare in culo”. Così è facile che il pubblico esca deluso. Lo trovo ingiusto, perché ci sta che tu debba far capire che sei l’artista, ma la gente ti vuole bene per quella canzone che gli ha lasciato un segno, che aleggia su episodi della loro vita. Poi ovvio, non puoi fare 2 ore e mezza di concerto, soprattutto noi che abbiamo 50 anni. Perché i nostri concerti sono quelli che alla terza canzone butti via la maglietta completamente sudata. Noi suoniamo circa un’ora e quaranta. Quindi succede che dell’ultimo disco ne proponi due, poi il pubblico decide quale funziona.

DENTRO O FUORI

Birra o vino?

Birra. Ci è sempre piaciuta, peraltro abbiamo fatto la nostra, che adoro. L’abbiamo creata assieme alla Bottega di Piacenza, dove abbiamo scelto i luppoli, il malto…insomma la cultura della birra c’è sempre piaciuta.

Derozer o Pornoriviste?

Sebza nulla togliere alle PornoRiviste dico Derozer perché sono veramente fratelli. Il primo concerto lo abbiamo fatto con loro al CPA di Firenze, è stato nel 1991.

Berlino o Londra?

Berlino mi è piaciuta moltissimo, è la città dei miei sogni. La multietnicità, è vivibile, riesci a vivere anche con pochi soldi in tasca. Londra è meravigliosa però ci vogliono tanti soldi, perché soltanto a muoverti sei fottuto. A Berlino a qualsiasi ora prendi un taxi e ti costa poco.

NoFx o Rancid?

Anche qua una battaglia difficile. I No Fx mi piacciono tantissimo però uno dei dischi appunto preferiti della mia vita è dei Rancid. Quindi Rancid.

Sushi o trattoria?

Mi piace tantissimo il sushi, con tra l’altro sotto casa una un amico giapponese che da cui ci vado da 25 anni. Ci passa Eugenio Finardi, ci passa Paolo Rossi e lui mi ha sempre trattato benissimo, e ha sempre avuto i prezzi giusti. Va meticolosamente a scegliere il pesce, mi piace un sacco però le origini mi spingono a dire trattoria

The Clash o Sex Pistols?

…guarda la video-intervista 😉

Intervista a RICCARDO DE STEFANO: da Era Indie al mondo dell’editoria musicale

di Francesco Bommartini

Riccardo De Stefano è una delle nuove leve del giornalismo musicale più in vista al momento. Il suo libro Era Indie ha sublimato una carriera nella musica partita con ExitWell (di cui è tuttora direttore editoriale) e continuata con varie collaborazioni (tra le quali quella con Classic Rock) e addirittura un’apparizione su RaiUno durante uno speciale sulla musica.

Riccardo l’ho conosciuto ormai 7 anni fa al Mei, a Faenza, manifestazione che frequentiamo con continuità entrambi e alla quale è sempre piacevole trovarsi e chiacchierare. Ora andiamo con le domande…

Si può considerare il libro Era Indie come una summa del tuo percorso professionale?

Sì, sicuramente. Nel 2012 non lo sapevo, ma fondare ExitWell insieme a Francesco Galassi e Francesca Radicetta, la rivista musicale che da qualche anno dirigo, è stato la svolta della mia vita, facendomi vedere dal di dentro l’esplosione del nuovo pop romano. Avendone scritto tanto in questi anni, ho inserito nel libro molto di quanto ho raccontato in presa diretta (magari epurandolo da riferimenti troppo contingenti). Non solo, ci sono contributi anche da miei articoli per iCompany o altre riviste. Insomma, come per l’indie, anche per me il 2019 è stato un punto di arrivo.

Come è nata l’idea e come l’hai messa in pratica, formalmente?

L’idea è venuta perché nessuno ancora aveva dedicato un libro alla storia degli artisti indie del decennio, e serviva farlo celermente. Il lavoro è stato di revisione di articoli scritti in passato – ma una piccola percentuale del lavoro in realtà – e perlopiù raccolta e lavoro sulle interviste ai protagonisti del genere. Ci sono oltre 30 interviste inedite, alcune perfino non ho avuto modo di inserirle. Il libro è di 400 pagine esatte, e la cosa più difficile è stata dare una forma sensata al discorso cronologico e agli apparati critici che propongo (come i commenti e le analisi dei vari approcci o sottogeneri). Tra incastri, scrittura, ripensamenti e varie ed eventuali, sei mesi di lavoro intensi, soprattutto gli ultimi due.

Quali sono, a tuo parere, gli artisti della scena indie che hanno raccolto meno di quello che meriterebbero? E quali il contratio?

Mi spiace che i nomi rilevanti dei primi 5 anni dello scorso decennio siano spariti, magari perché arrivati troppo presto o troppo tardi a seconda dei punti di vista. Band come Boxerin Club oggi non le ricorda praticamente più nessuno, penalizzate dalla scelta della lingua inglese in un’epoca dove era la norma. Penso che anche Wrongonyou sia stato penalizzato dall’inglese e abbia raccolto meno di quanto meritasse. Nell’indie più identificabile, Contessa e I Cani sono divinità dentro la nicchia e nomi sconosciuti al grande pubblico, perlopiù per le scelte di Contessa, per quanto invece siano stati gli iniziatori di tutto È stato il decennio del pop, e chiunque ha spinto in quella direzione ha raccolto, probabilmente più di quanto meritasse. Adesso siamo ancora troppo dentro il momento e si manca di lucidità, temo però che tra cinque o dieci anni gruppi come Thegiornalisti e Lo Stato Sociale verranno fortemente messi in discussione.

La TOP 3 di Riccardo De Stefano

A cosa serve un libro di questo tipo nel 2020, secondo te?

Il libro, come quasi ogni cosa al mondo riferita all’arte, non serve a niente. È un feticcio di un’epoca passata e come tale non è dissimile dai tanti vinili o cd che compriamo e che magari neanche ascoltiamo. È un racconto e una analisi, con pregi e difetti, di un periodo storico che ha segnato i miei 20 anni e quelli di una generazione. Lo può leggere “chi c’era” e viverlo come agrodolce Amarcord, così come lo può leggere un musicista di oggi per capire come quando e perché siamo arrivati a questo punto. Ha un’anima manualistica nascosta sorprendente. Ma in realtà è un libro sul Tempo, su come cambia le persone e le cose, sui sogni che si hanno da ragazzi e cosa significhi realizzarli o meno. Trionfi e tragedie. Il vero sottotesto è quello, un tema a me molto cari.

Quali sono i tuo punti di riferimento tra autori, giornalisti e critici musicali?

Per quanto suoni assolutamente velleitario (e lo è!), la struttura del libro è eredità del mio interesse per Calvino: volevo un libro che si potesse leggere non per forza di cose in successione, pagina dopo pagina. Così si possono leggere solo i capitoli con i numeri e poi quelli con le lettere, o solo l’ultima parte, o l’introduzione. Ogni elemento ha in sé qualcosa di unico, ma anche tutto quello che succede dentro il libro. Superfluo dire come il libro debba molto a Simon Reynolds e David Byrne (oltre a “Godel Escher Bach” di Hofstadter, ma non ditelo in giro perché sembrerebbe assurdo).
Tra le mie influenze generali c’è sicuramente George Starostin, critico musicale russo che da quasi 20 anni pubblica sul suo sito e blog una recensione al giorno: il suo stile è brillante, divertente e molto arguto. Devo poi molto – anche umanamente – a Federico Guglielmi (il suo blog L’Ultima Thule), che nel libro ha realizzato la prefazione, che mi ha preso sotto la sua ala e che non ho vergogna a considerare come un mio mentore. Mi piace molto come scrive Farabegoli, penso sia il più bravo “scrittore” di musica che abbiamo adesso, così come apprezzo il febbrile operato di Simone Stefanini, mentre il mio modello di scrittura che però non raggiungerò mai è Riccardo Bertoncelli

TORMENTONE: chi salvi e un brevissimo perché.

Oasis o Blur?
Gli Oasis penso siano una delle band più mediocri della Storia. I Blur no.

Battiato o Murgia? Uno dei due è un intellettuale e ha segnato 3 generazioni con le sue opere e non ha bisogno di stare sempre a parlare per dimostrare qualcosa.

I Ministri o Il Teatro degli Orrori? Dico Il Teatro perché li ho scoperti prima e perché piango sempre quando ascolto Direzioni diverse

Salvini o Conte? Non credevo che qualcuno potesse farmi rimpiangere Berlusconi, ma Salvini ha questo talento. Conte, perlomeno, non mi fa vergognare.

BlowUp o Rumore? Dico BlowUp perché ci scrivono diversi amici e perché non amo molto la struttura di Rumore.

Carta o Digitale?Per quanto sia “facile” dire carta, dico invece digitale: ha delle possibilità davvero sterminate e pochissime persone le sfruttano davvero.

Calcutta o Achille Lauro? Calcutta per le canzoni (soprattutto di Evergreen), Lauro per tutto il resto. Entrambi essenziali però. Comunque meglio Lauro.

Birra o Vino? Vino bianco e nello specifico Gewurztraminer. Non che non beva birra però, eh, sia chiaro.

Un desiderio per il tuo 2020? Che si possa tornare a uno stato di normalità e ricostruire quello che andrà distrutto, magari “meglio”. E di poter fare almeno la metà delle cose che ho in mente di fare.

La vendetta dei SYNTH. Come Paradiso & co hanno stravolto i gusti degli italiani

di Francesco Bommartini / Cover image di Hugo F.

La partecipazione degli Ex-Otago alla 69esima edizione del Festival di Sanremo era stata rivelatoria. I genovesi sono infatti gli artefici, insieme a I Cani e Lo Stato Sociale, del pop elettronico che negli ultimi anni si è impadronito dell’attenzione dell’Italia che ascolta, anche distrattamente, musica. In barba al rock più aggressivo de I Ministri, Il Teatro degli
Orrori
e Fast Animals and Slow Kids. Tutti gruppi che, insieme a The Zen Circus, continuano ad avere un ottimo riscontro (con I Ministri reduci dal discreto Fidatevi), ma che non raggiungono le vette di ascolti del nuovo che avanza (come invece avveniva quando ho scritto Riserva Indipendente). In particolare di Liberato, Gazzelle, Carl Brave x Franco 126, lemandorle, Galeffi, Pop-X. Artisti che entrano più nelle classifiche di ascolto digitali (Spotify, Deezer) che in quella stilata dalla Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana). Una massiccia presenza negli attuali gusti degli
italiani che sa di lavoro in cameretta e successiva legittimazione, di rivincita dei nerd che improvvisamente divengono appetibili.

Storie di voci filtrate e basi in cui synth e tastiere sono preponderanti e disegnano melodie semplici ma catchy. Di canzoni in cui gli strumenti classici del rock (chitarra, basso, batteria) giocano spesso un ruolo secondario. Distantissime, quindi, dai dettami del rock anni ’90, che in Italia è stato vivacizzato dalla profondità alternativa degli Afterhours, dalla veemenza dei Verdena e dalla visione più pop dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Anche se, sempre in quel periodo, un certo utilizzo delle tastiere era stato perpetrato anche dai Subsonica. Il gruppo torinese è riuscito a far
ballare migliaia di italiani usando i synth per vestire brani già solidi. Un approccio diverso rispetto a quello dei coetanei Bluvertigo, più votati alla filosofia che non al ballo.

La voglia di leggerezza dei giovani dopo dieci anni di crisi (economica; di valori; della fisicità, anche discografica) è grande. Così, alle invettive de I Ministri ed all’impegno testuale di Pierpaolo Capovilla, i ragazzi, che dettano i trend musicali, prediligono le ballate synthetiche in napoletano di Liberato (il singolo Tu t’e scurdat ‘e me ha ampiamente superato i 23
milioni di contatti su Spotify), la voce filtrata ed i mid-tempo di Gazzelle, gli
sbarazzini brani de L’Officina della Camomilla e l’umorismo non propriamente sofisticato dei Pop-X (che nel 2016 hanno pubblicato un album intitolato Lesbianity). O il pop rappato, ma sempre ammorbidito dalle tastiere, di Coez, autore del successo E’ sempre bello, 80 milioni di
ascolti su Spotify.

E’ sempre bello, Coez

Se oggi le radio passano pop elettronico lo dobbiamo certamente alle corazzate I Cani e Lo Stato Sociale, fautori di canzoni che tratteggiano con una certa dose di ironia una Roma vagamente decadente (specie nel Il sorprendente album d’esordio de I Cani) e, nel secondo caso, una visione Bologna-centrica, fatta di slogan che, a volte, raggiungono l’obiettivo (come nel brano Mi sono rotto il cazzo). Ma la vera sterzata è stata opera dei Thegiornalisti, che, prima di sciogliersi a settembre dello scorso anno, hanno raggiunto davvero tutti, più di quanto fatto dagli album dei padri putativi di quest’approccio easy electro. Con buona pace di chi etichetta tutto questo movimento con il termine “indiesfiga”.

Nel 2017 i Thegiornalisti hanno piazzato, con il sostegno di Universal, un album vincente ed un singolo killer. Quella Riccione che ha fatto da megafono – con oltre 37 milioni di ascolti su Spotify – a tutto il sottobosco di epigoni. Un brano che ha fatto seguito al quarto disco della band di Tommaso Paradiso, quel Completamente Sold Out dal titolo provvidenziale, visti i pienoni concertistici in mezza Italia, comprese due location di prestigio: il PalaLottomatica di Roma e il Mediolanum Forum di Milano. Un album Disco di Platino. Il loro successo è stato un assist anche per Viito, il cui singolo Bella come Roma ha scalato le classifiche di Spotify.

Ben prima l’etichetta bolognese Garrincha (ho anche partecipato ad un concerto organizzato a Bologna con molte loro band, nel 2017) è stata motore di tutto questo movimento, in cui l’ariosità delle soluzioni armoniche contrasta con arrangiamenti minimal, dettate ad inizio 2000
anche dagli Amari. Lo è da tempi meno sospetti, con L’Orso e L’Officina della Camomilla. E ha portato gli Ex-Otago verso l’album Marassi, quello del pieno e vero successo commerciale. Il loro netto cambio di sound, a favore delle tastiere, è opera soprattutto della produzione di Matteo Cantaluppi, l’architetto del sound di Completamente Sold Out. Ma pure degli album di Edipo, che da oltre un anno sta raccogliendo riscontri con il progetto electro-rap Coma_Cose, forse vero erede del fil-rouge di cui sto scrivendo, in grado di unificare ariosità e cantanto rappato. E ancora del disco Qui ed Ora (Sugar Dischi) del battiatiano Paletti, di M+A, di alcuni singoli di Canova. Tutti lavori in cui l’elettronica easy listening ha un ruolo
importante.

Coma Cose

Canova, poi, è nel roster di Maciste Dischi, etichetta che ha puntato sui brani ammantati di morbide tastiere e synth. Ne fanno parte anche Galeffi, Siberia e Gazzelle. Artisti che fanno storcere il naso a chi ancora crede nelle chitarre trascinante e nelle ritmiche serrate, nei testi profondi e nei live energici. Ma si tratta comunque di corsi e ricorsi storici: quale ultratrentenne non ha avuto da ridire sulla musica che andava per la
maggiore nel suo periodo storico di riferimento? Solo il tempo saprà dirci se quello della generazione musicale The-giornalistica sarà un successo effettivo e valido (come il cantautorato anni ’60, il prog, il punk) o solo un piccolo, grande abbaglio. Senza dimenticare che esiste un’altra elettronica, sempre made in Italy, che interpreta le sfumature provenienti dall’estero ed utilizza l’inglese per esprimersi su tappeti che si avventurano anche nell’ambient. Birthh, Populous, HÅN, Iosonouncane, Giungla,
Godblesscomputers, pur non raggiungendo certi picchi d’ascolto, hanno una dignità artistica. Per non parlare dei rapper (e trapper) che poggiano su una visione synth-centrica come Dark Polo Gang, Rkomi & co.

Ma questa è un’altra storia.