di Francesco Bommartini
Riccardo De Stefano è una delle nuove leve del giornalismo musicale più in vista al momento. Il suo libro Era Indie ha sublimato una carriera nella musica partita con ExitWell (di cui è tuttora direttore editoriale) e continuata con varie collaborazioni (tra le quali quella con Classic Rock) e addirittura un’apparizione su RaiUno durante uno speciale sulla musica.
Riccardo l’ho conosciuto ormai 7 anni fa al Mei, a Faenza, manifestazione che frequentiamo con continuità entrambi e alla quale è sempre piacevole trovarsi e chiacchierare. Ora andiamo con le domande…
Si può considerare il libro Era Indie come una summa del tuo percorso professionale?
Sì, sicuramente. Nel 2012 non lo sapevo, ma fondare ExitWell insieme a Francesco Galassi e Francesca Radicetta, la rivista musicale che da qualche anno dirigo, è stato la svolta della mia vita, facendomi vedere dal di dentro l’esplosione del nuovo pop romano. Avendone scritto tanto in questi anni, ho inserito nel libro molto di quanto ho raccontato in presa diretta (magari epurandolo da riferimenti troppo contingenti). Non solo, ci sono contributi anche da miei articoli per iCompany o altre riviste. Insomma, come per l’indie, anche per me il 2019 è stato un punto di arrivo.
Come è nata l’idea e come l’hai messa in pratica, formalmente?
L’idea è venuta perché nessuno ancora aveva dedicato un libro alla storia degli artisti indie del decennio, e serviva farlo celermente. Il lavoro è stato di revisione di articoli scritti in passato – ma una piccola percentuale del lavoro in realtà – e perlopiù raccolta e lavoro sulle interviste ai protagonisti del genere. Ci sono oltre 30 interviste inedite, alcune perfino non ho avuto modo di inserirle. Il libro è di 400 pagine esatte, e la cosa più difficile è stata dare una forma sensata al discorso cronologico e agli apparati critici che propongo (come i commenti e le analisi dei vari approcci o sottogeneri). Tra incastri, scrittura, ripensamenti e varie ed eventuali, sei mesi di lavoro intensi, soprattutto gli ultimi due.

Quali sono, a tuo parere, gli artisti della scena indie che hanno raccolto meno di quello che meriterebbero? E quali il contratio?
Mi spiace che i nomi rilevanti dei primi 5 anni dello scorso decennio siano spariti, magari perché arrivati troppo presto o troppo tardi a seconda dei punti di vista. Band come Boxerin Club oggi non le ricorda praticamente più nessuno, penalizzate dalla scelta della lingua inglese in un’epoca dove era la norma. Penso che anche Wrongonyou sia stato penalizzato dall’inglese e abbia raccolto meno di quanto meritasse. Nell’indie più identificabile, Contessa e I Cani sono divinità dentro la nicchia e nomi sconosciuti al grande pubblico, perlopiù per le scelte di Contessa, per quanto invece siano stati gli iniziatori di tutto È stato il decennio del pop, e chiunque ha spinto in quella direzione ha raccolto, probabilmente più di quanto meritasse. Adesso siamo ancora troppo dentro il momento e si manca di lucidità, temo però che tra cinque o dieci anni gruppi come Thegiornalisti e Lo Stato Sociale verranno fortemente messi in discussione.
A cosa serve un libro di questo tipo nel 2020, secondo te?
Il libro, come quasi ogni cosa al mondo riferita all’arte, non serve a niente. È un feticcio di un’epoca passata e come tale non è dissimile dai tanti vinili o cd che compriamo e che magari neanche ascoltiamo. È un racconto e una analisi, con pregi e difetti, di un periodo storico che ha segnato i miei 20 anni e quelli di una generazione. Lo può leggere “chi c’era” e viverlo come agrodolce Amarcord, così come lo può leggere un musicista di oggi per capire come quando e perché siamo arrivati a questo punto. Ha un’anima manualistica nascosta sorprendente. Ma in realtà è un libro sul Tempo, su come cambia le persone e le cose, sui sogni che si hanno da ragazzi e cosa significhi realizzarli o meno. Trionfi e tragedie. Il vero sottotesto è quello, un tema a me molto cari.
Quali sono i tuo punti di riferimento tra autori, giornalisti e critici musicali?
Per quanto suoni assolutamente velleitario (e lo è!), la struttura del libro è eredità del mio interesse per Calvino: volevo un libro che si potesse leggere non per forza di cose in successione, pagina dopo pagina. Così si possono leggere solo i capitoli con i numeri e poi quelli con le lettere, o solo l’ultima parte, o l’introduzione. Ogni elemento ha in sé qualcosa di unico, ma anche tutto quello che succede dentro il libro. Superfluo dire come il libro debba molto a Simon Reynolds e David Byrne (oltre a “Godel Escher Bach” di Hofstadter, ma non ditelo in giro perché sembrerebbe assurdo).
Tra le mie influenze generali c’è sicuramente George Starostin, critico musicale russo che da quasi 20 anni pubblica sul suo sito e blog una recensione al giorno: il suo stile è brillante, divertente e molto arguto. Devo poi molto – anche umanamente – a Federico Guglielmi (il suo blog L’Ultima Thule), che nel libro ha realizzato la prefazione, che mi ha preso sotto la sua ala e che non ho vergogna a considerare come un mio mentore. Mi piace molto come scrive Farabegoli, penso sia il più bravo “scrittore” di musica che abbiamo adesso, così come apprezzo il febbrile operato di Simone Stefanini, mentre il mio modello di scrittura che però non raggiungerò mai è Riccardo Bertoncelli.
TORMENTONE: chi salvi e un brevissimo perché.
Oasis o Blur?
Gli Oasis penso siano una delle band più mediocri della Storia. I Blur no.
Battiato o Murgia? Uno dei due è un intellettuale e ha segnato 3 generazioni con le sue opere e non ha bisogno di stare sempre a parlare per dimostrare qualcosa.
I Ministri o Il Teatro degli Orrori? Dico Il Teatro perché li ho scoperti prima e perché piango sempre quando ascolto Direzioni diverse
Salvini o Conte? Non credevo che qualcuno potesse farmi rimpiangere Berlusconi, ma Salvini ha questo talento. Conte, perlomeno, non mi fa vergognare.
BlowUp o Rumore? Dico BlowUp perché ci scrivono diversi amici e perché non amo molto la struttura di Rumore.
Carta o Digitale?Per quanto sia “facile” dire carta, dico invece digitale: ha delle possibilità davvero sterminate e pochissime persone le sfruttano davvero.
Calcutta o Achille Lauro? Calcutta per le canzoni (soprattutto di Evergreen), Lauro per tutto il resto. Entrambi essenziali però. Comunque meglio Lauro.
Birra o Vino? Vino bianco e nello specifico Gewurztraminer. Non che non beva birra però, eh, sia chiaro.
Un desiderio per il tuo 2020? Che si possa tornare a uno stato di normalità e ricostruire quello che andrà distrutto, magari “meglio”. E di poter fare almeno la metà delle cose che ho in mente di fare.