Le atmosfere gothiche degli ULVAND si sporcano di death metal nell’ep THE ORIGINS

Che sorpresa questi Ulvand! Con The Origins questi francesi dell’occitania riescono a toccare vette insperate. Sempre in bilico tra gothic e death metal, con una preminenza del primo genere, ammantano i brani di atmosfere oscure ma senza farsi mancare growl e riff pesanti. Autore dei growl è Serge, impegnato anche al basso.

Non manca però la parte dolce, melodica, incarnata dalla voce di Bèran. Che l’alternanza funzioni lo si capisci fin dalla prima traccia Human Zoo, ammantata di tastiere e arricchita da doppio pedale del programming di Wilfried. Ed è forse questo un aspetto critico: la batteria è sostituita da una drum machine, e questo si sente sopratutto a livello di pedale.

Il clip di Human Zoo

Questo aspetto però non toglie magia al risultato, nemmeno quando chitarra e batteria imbastiscono assieme interi sensi di brani (vedi Chrysalis). Non mancano nemmeno arpeggi e momenti scevri delle chitarre, e questa varietà dona ulteriore dinamicità ai pezzi. Che, in fondo, risultano tutti all’altezza.

Gli Ulvand, tirando le somme, si dimostrano band vera e in grado di condividere palchi con chiunque nel sottogenere gothic. Tra l’altro proprio i momenti più votati a questo genere sono quelli che mi hanno più coinvolto, ma ci tengo a specificare che pure nei momenti più estremi i nostri riescono a far quadrare tutto in modo molto dignitoso.

PAY TO PLAY: due promoter italiani parlano di PAGARE PER SUONARE. Cancro o opportunità?!

La video intervistona sul Pay to Play

Intervista di Francesco Bommartini

CROWDEAD: recensione di MALPHAS e intervista per la band mantovana che unisce death e thrash metal

Recensione di Francesco Bommartini

MALPHAS dei Crowdead

Non ci vanno per il sottile i giovani mantovani Crowdead. E lo fanno capire fin da subito, con la possente Overload, che segue una breve intro che fa entrare nelle atmosfere metalliche del platter. Così come presto si capisce che l’amalgama di old school e new school è più tendente al secondo aspetto. Un tipo di concetto che non riguarda solo il sound, con un basso molto presente al pari degli axeman, ma proprio le scelte stilistiche. I ragazzi pestano, sì, ma apprezzano molto anche l’andazzo granitico, che si può respirare nel terzo brano Serpent Specter, che include però anche degli arpeggi distorti che donano al risultato un’aura minacciosa.

Un’atmosfera che trova contiguità nella successiva intro di Pray and Burn, prima che il pezzo torni soverchiato dal riffing incisivo di Matteo Usberti, e parta in una cavalcata thrashy. Ma sempre con quel sentore di Pantera che fa tanto, tanto bene. Sì, perché il riffing dei Crowdead non perde nella velocità lo spessore, complice la buona produzione ma anche una dinamicità che è sottolineata dal basso di Andrea Bissolati e dalla batteria di Stefano Bertozzi. Sempre degna di nota, poi, la prova vocale di Mike Pellegrino. Non un mezzo cedimento, una roccia su cui la band può contare.

I ragazzi si divertono, e si sente talmente tanto che anche chi apprezza il metallo in genere, senza eccessivi paraocchi, non potrà non notarlo, anche in pezzi un po’ meno incisivi (come la pur buona In Search of my Demon). Sintomo che la libertà interpretativa nell’affrontare il tema musicale può portare ottimi risultati la dà la quasi crossover Deadcrow, che incorpora un andamento hardcore che ben si sposa con il thrash di base. The Stepsister’s Deceit supera un altro piccolo esame: l’alternarsi di voce pulita e distorta. La voce funziona anche così!

Se Parasite Shame aggiunge solo una tastiera a quanto già sentito prima poco importa: i Crowdead sono freschi, il frutto Malphas è ideale per scapocciare anche nell’estate che si affaccia in quest’anno così impensabile…

ANTEPRIMA ESCLUSIVA: 14 metal band cinesi unite dell’italiana ArtCorner per la compilation CHINA METAL ASSAULT: KILLING COVID-19

Una compilation di metal cinese per sottolineare la vicinanza tra la Cina e l’Italia nella lotta contro il Coronavirus. Questa è l’idea alla base di “China Metal Assault – Killing Covid-19”. La compilation è stata creata dall’etichetta veronese ArtCorner, che offre anche servizi di promozione musicale, con un occhio di riguardo per il digitale. Il lavoro è ascoltabile sulle principali piattaforme di streaming, da Spotify a Deezer, da YouTube a iTunes e da altri servizi, tra cui alcuni dedicati proprio alla Cina.

Il Promo della compilation

Al suo interno convivono band con due comuni denominatori: la provenienza e il genere metal. Ma, come sanno gli appassionati, le nicchie del metal sono molteplici. Gli ascoltatori si troveranno ad ascoltare tanto hard rock ed heavy, quanto death, thrash e grind. La provenienza dei 14 gruppi che hanno donato alla compilation altrettanti brani va da Shangai a Pechino, passando addirittura per Wuhan. Sì, proprio la città simbolo della pandemia che, partita dalla Cina, sta colpendo duramente tutto il mondo, Italia compresa. Tra le band coinvolte c’è anche quella degli Skycrater, dietro cui si cela l’unico artista italiano, che in Cina studia da tempo. Inoltre ci sono gli Hellfire da Wuhan, città tristemente nota per la provenienza del virus che sta tenendo sotto scacco il mondo intero.

Da ArtCorner ci tengono a far sapere che “sono stati scelti solo gruppi che hanno certe qualità. L’aggressività della proposta va letta nell’ottica della lotta comune contro un nemico invisibile, il virus. Il supporto che la Cina ha dato all’Italia è encomiabile, ma anche la nostra nazione ha sostenuto il paese asiatico”. Sulla propria attività ArtCorner specifica “la vicinanza con la scena underground. Offriamo servizi di promozione – ufficio stampa e digital pr – a prezzi contenuti. Chi si affida a noi sarà promosso sia in Italia che all’estero, e avrà la possibilità di ottenere consulenze sull’utilizzo dei social”.

Tracklist (nome band, “nome canzone”, (genere e provenienza):

1 – Dashengun “我可真是个人才” (Progressive metal da Pechino)

2 – Nower “Hammer&Scars” (Metalcore da Xilinhaote)

3 – Slaves of the Prison “Singularity” (Death metal tecnico da Nanning)

4 – Chemical Assault “Beer” (Thrash metal da Lanzhou)

5 – Dressed to Kill “Speed metal mania” (Heavy metal da Pechino)

6 – Psyclopus “Beowulf’s Sword” (Viking metal da Shanghai)

7 – Haematemisis “Kerrlit’s Top Spicy Big Cock” (Brutal death metal da Shanghai)

8 – Direwolf “Ghost” (Melodic death metal da Hanghzou)

9 – Skycrater “A Glimpse of Dawn” (Heavy metal da Nanning)

10 – Dark Moon “Life in Darkness” (Death metal da Pechino)

11 – Eyes of the Storm “Hurricane 1922”

12 – Impure Injection “Genetically Modified Utopia” (Grindcore da Zibo)

13 – Hellfire “双生情蠱” (Black/Thrash metal da Wuhan)

14 – Dog Slayer “Ashigaru” (Heavy metal da Hanghzou)

Contatti: artcornermusic@gmail.com

Intervista al Ceo di LIQUID DEATH, l’acqua in lattina che uccide la sete, la plastica e inserisce gli haters in un vinile death metal da 12″

Liquid Death proviene da una sorgente sotterranea di montagna profonda alcune centinaia di piedi sotto la pietra. L’acqua viene prelevata direttamente dalla sorgente e viene inserita direttamente in lattine dopo un processo di purificazione che mantiene al 100% il profilo minerale originale dell’acqua.

Questa è la descrizione seria. Ma gli slogan che mi hanno spinto a fare questa intervista sono cose come “Uccidi la sete”, “Morte alla plastica”. Il tutto accompagnato da un immaginario punk e metal, con video talmente eccessivi da essere diventati già di culto. Eccone un esempio!

Uno dei video pubblicitari di Liquid Death

Ed ecco l’intervista che ho fatto con Michael Cessario, che dalla sua cucina a Los Angeles mi ha dato l’opportunità di capire meglio l’idea che ha generato questa geniale trovata che, ricordiamolo, non è fine a sè stessa, bensì messa al servizio di un prodotto che deve essere venduto.

di Francesco Bommartini

Cessario è un cognome italiano?

Sì, lo è. Mio nonno era calabrese, mia nonna siciliana.

Perché hai scelto il nome Liquid Death?

Il nome è divertente. Ho un background nel marketing e ho sempre osservato con curiosità tutte le bevande energetiche e le cose che sono tradizionalmente commercializzate per il tipo di cultura giovanile.  C’è Monster Energy, e c’è Red Bull, e c’è Rockstar in Hampton, Pitbull, tutti questi nomi folli! Ma alla fine tutta quella roba è per lo più acqua con un po’ di zucchero, e un po’ di caffeina. Gli stessi ingredienti che mia nonna usava a colazione. Ma hanno messo questo involucro pazzesco intorno al prodotto, così abbiamo pensato che sarebbe stato divertente fare la stessa cosa con l’acqua. Ma facendo un passo avanti, in modo da renderci conto che non ci stiamo prendendo sul serio e anzi stiamo prendendo in giro l’estrema commercializzazione di bevande energetiche e tutto quel genere di cose. Si chiama Liquid Death perché è divertente pensare che niente è meglio di una lattina di acqua fredda per uccidere la tua sete. L’altra questione riguarda la morte della sostenibilità inflitta dalla plastica, eliminarla è la nostra missione. Vogliamo sbarazzarci delle bottiglie di plastica. Le lattine di alluminio sono infinitamente più riciclabili.

La video-intervista esclusiva con il Ceo di Liquid Death

In Italia è davvero strano sapere che esiste acqua in lattina. Ma la cosa che  mi colpisce davvero è la sezione “About Us” del sito, dove si parla del fatto che tutto ciò sia “non necessario”… Voglio capire: cosa vuoi dire esattamente?

Cosa pensi delle cose che sono necessarie? Io penso che, soprattutto nel marketing o nel branding, siano prese molto letteralmente. Ma al di fuori del marketing le persone non pensano in questo modo. Se pensi ai momenti più divertenti e memorabili rimano con qualcosa di completamente inutile. Non è necessario saltare da una scogliera di 50 piedi nell’oceano, ma è divertente. Non è necessario guidare una moto attraverso una montagna tortuosa, anzi è pericoloso, ma divertente. Le cose necessarie sono come andare dal dentista, respirare. Quando la gente guarda quello che faccio dice  “wow!”. Il divertimento è come la magia, si può spingere roba al di là di ciò che ci si aspetta. Penso che sia quello che intendiamo con il termine “inutile”.

Che tipo di acqua bevevi prima dell’arrivo della Liquid Death?

Ho bevuto un sacco di diversi tipi di acqua. L’acqua in bottiglia è stato uno dei motivi per cui ho voluto creare Liquid Death, insieme al fatto di essere cresciuto suonando in una punk rock e in heavy metal band. Da giovane non bevevo soda, ho mangiato vegetariano per un sacco di tempo nonostante non sia vegetariano. Le aziende di acqua non hanno mai parlato in modo divertente alla cultura giovanile. Tutte le cose malsane, come bevande energetiche e birra e soda, sono commercializzate come qualcosa di davvero divertente ed esilarante. Ma le cose sane non sono commercializzati nello stesso modo. Quindi ho preso l’acqua, qualcosa che ho bevuto per tutto il tempo e che la maggior parte delle persone non beve abbastanza (almeno negli Stati Uniti), e l’ho resa più divertente. La gente pensa all’acqua in bottiglia come ad una questione utilitaristica, come “Ok, la bevo al lavoro perché mi dovrei idratare” o “La bevo in palestra” per lo stesso motivo, Ma non si parla con qualcuno dicendo che quello che ti piace bere quando vai al bar è…l’acqua. Stiamo cercando di rendere l’acqua un bene da consumare anche in occasioni di festa. Quando le persone sono a una festa o a un concerto e non vogliono bere alcolici potrebbero sentirsi più a loro agio tenendo in mano una lattina come quelle di Liquid Death. Idem se hai bevuto tre drink e vuoi fare una pausa, puoi cadere in piedi con Liquid Death e non ti sentirai strano in quegli ambienti.

Yeah, in questo modo cerchi di rendere l’acqua più cool.

Sure. Cool è una parola molto ampia. Penso che ci siano dei legami mentali che le persone fanno con abitudini e prodotti. Quando ho un raffreddore il cervello mi sta dicendo che non sto bene e che mi sta succedendo qualcosa di brutto, e succede anche per l’acqua, mentre birra o soda sono socialmente accettate. E’ strano bere acqua da una lattina, perché le persone si aspettano che dentro la lattina ci sia birra o soda, quindi è quasi come stessimo cercando di spingere la gente a ingannare le loro menti, facendo qualcosa di brutto per spingere a qualcosa che è davvero sano.

“Murder your thist” è il primo claim della campagna di marketing sul sito web. Mi spieghi le radici dell’intera idea alla base della campagna di marketing?

Sure. La ragione per la quale la gente beve acqua non ha nulla a che fare con cose come “la sua acqua ha 5 elettroliti in più rispetto all’acqua successiva” o “il pH di quest’acqua è 7.4 invece di 7.7”. L’acqua è l’acqua. Per un sacco di gente alla fine la differenza la fanno marchio e packaging. Quindi la narrazione dietro il prodotto. Così abbiamo scelto come messaggio principale “l’omicidio della tua sete”, perché questa è la ragione principale per cui si beve acqua. E’ perché sei assetato. Altre marche di acqua puntano su piccole differenze a cui non pensiamo mai. Noi abbiamo deciso di puntare su qualcosa di semplice, abbiamo pensato che sarebbe stato “rinfrescante”. Non vogliamo inserirci nel filone delle altre marche, che si urlano contro per elettroliti e ph alcalino, tutte cose che la gente non capisce. Penso che il nostro sia solo un modo più pulito per spingere il nostro prodotto.

La plastica, una problematica da non sottovalutare

Greatest Hates è il nome dell’album death metal e del vinile 12 pollici legato alla vostra campagna di marketing. Chi ha selezionato i musicisti coinvolti e perché hai deciso di farlo?

Liquid Death è un marchio polarizzante. Ci sono persone che amano assolutamente il nostro marchio (tanto da tatuarselo, come hanno fatto oltre 30 persone che finora ci hanno inviato le pubblicazioni tramite social). Quando qualcuno ti ama così tanto ci sarà anche chi ti odia. Non è possibile avere solo amanti del tuo prodotto. Ci sono molte persone che ci lasciano ogni tipo di commenti negativi sui social media, dicendo cose come “mai sentito nome più stupido per l’acqua”, “fallirete entro tre mesi”… Tutti hanno un parere su internet, molti sono solo annoiati e vogliono parlare. Ma va bene anche se qualcuno di questi vede il nostro annuncio e si prende il tempo per commentare. Significa aver avuto dell’attenzione. Poi, a livello di branding, è importante sapere chi non sei, tanto quanto capire chi sei. Così abbiamo scoperto che possiamo giocare, celebrando i commenti negativi che arrivano sui social in una piccola tag line sarcastica. Quei post hanno prestazioni migliori di qualsiasi altro nostro post social. Le persone quasi si eccitano. Così, ad un certo punto abbiamo avuto l’idea di utilizzare questo tipo di recensioni negative per testi di un album heavy metal, perché è davvero musica arrabbiata, un po’ come certi commenti. Ho trovato il ragazzo che ha fatto la copertina dell’album, che è italiano e ha fatto altre copertine in passato per alcuni album metal piuttosto famosi.

Qual è la tua canzone preferita di Greatest Hates e quale l’hate comment più esilarante?

Le canzoni sono tutte abbastanza buone. Abbiamo fatto anche un video promo per il disco. Fire your marketing guy credo sia il mio pezzo preferito. Il commento più esilerante credo sia quello “non vedo l’ora di vederti falliti il prossimo mese”.

Il video promo per Greatest Hates

Quante persone lavorano in Liquid Death?

24 al momento. E’ nato tutto nel gennaio 2019.

Tutti amano il death metal in Liquid Death?

Credo di essere l’unico azienda che ama davvero il death metal. Penso che tutti apprezzino il metal e l’idea che Liquid Death sia legata ad un album death metal. Qualcuno pensa che il disco dovrebbe fare appello solo a chi ama il death metal, ma questo non è il caso. Penso che tutti apprezzino il tipo di umorismo e il divertimento del metal. E quando si sposa con un marchio d’acqua…non credo sia come per Nike quando gestisce uno spot con Tiger Woods per il Super Bowl. E’ come dire che quello spot è completamente inutile per chiunque non giochi a golf, che non è come tutti. Anche se non sei coinvolto con il tema principale si può apprezzare la sensazione che ti cresce per il marchio: “è divertente, mi piace questo marchio”. Così quando vado al negozio la prossima volta che voglio spender i miei dollari magari penserò a questa società, che mi ha fatto ridere.

Cosa pensi dei social media, anche riguardo gli odiatori?

Penso che tutti siano stanchi di essere giudicati su tutto quello che fanno nella vita. Ogni volta che pubblichi una foto del tuo pasto, di un raduno ecc stai dando un punto di vista e sei giudicato attraverso quanti like fai, e le persone possono commentare e dire cose come “questo è stupido, si dovrebbe fare quest’altro…”. Tutti hanno un’opinione su tutto. Possono dire che ti odiano, possono dire che ti amano. Di solito le persone sono più veloci a lasciare un commento negativo che non uno positivo. Chi se ne importa se la gente odia quello che stai mettendo su Internet. Va bene ci siano anche persone a cui non piace quello che stai facendo. La nostra reazione agli hater è proprio un modo per dire che siamo orgogliosi del fatto che non tutti ci amano. “Oh mio Dio, a qualcuno non piace” non è il tipo di pensiero che ho di solito.

Oltre ad essere il CEO di Liquid Death hai un passato come copywriter. Quali sono le caratteristiche di un buon copywriter?

Credo innanzitutto che debba essere in grado di utilizzare il linguaggio in modo coinvolgente. Penso che la gente si dimentichi che la persona media sta scorrendo attraverso un feed di Instagram e magari si imbatte in vari annunci, o che stanno scorrendo le mail…magari stanno guidando o sono in giro guardando il loro telefono. Bisogna pensare che il testo andrà su un cartello e deve ottenere attenzione. Penso che il linguaggio sia il solo modo potente per catturarla e vendere in due secondi quello che ti interessa. Perché è molto più difficile effettivamente fermare qualcuno per dirgli quello che penso. Quando sei in agenzia pensi a mille piccolezze, ma nel mondo normale nessuno si preoccupa di nessuna di queste cose che facciamo. Dobbiamo afferrare davvero qualcuno, e un buon copywriter è in grado di farlo con poche parole e pochi secondi.

Cessario è stato creativo per Stranger Things e House of Cards

Che tipo di esperienze passate hai portato in Liquid Death?

Ho preso molto dalla mia esperienza come direttore creativo e copywriter in pubblicità. Ho lavorato su circa 100 marchi diversi, da aziende automobilistiche ad aziende di pizza congelata, a Netflix. Dopo aver fatto migliaia di campagne pubblicitarie, sia per cose che funzionano che no, ho deciso di puntare su Liquid Death. Ovviamente inserendo un sacco di cultura, uno stile artistico e un tipo di umorismo.

Sai parlare un po’ di italiano? Sei venuto in Italia?

Non so parlare italiano ma sono venuto in vacanza in Italia molto tempo fa, quando avevo forse 21 o 22 anni. Ne compio 38 quest’anno. Io e mia moglie dove stiamo cercando di trovare il tempo per andare in Italia e visitarla meglio. Ho visto Capri ma sono molto interessato a vedere alcuni paesaggi del Nord, come le montagne.

Dentro o fuori

…alla fine del video!

ITALY EXPORT: i FLESHGOD APOCALYPSE tra sold out in mezzo mondo, il cancro del pay to play ed incredibili aneddoti…

di Francesco Bommartini

Italy Export è un’indagine sui gruppi italiani che superano i confini nazionali con la loro musica, a livello discografico e/o live. Oggi tocca ai Fleshgod Apocalypse, autori di un death metal orchestrale unico al mondo. Che nel 2019 ha pubblicato l’ultima opera Veleno.

risponde: Francesco Paoli (voce/chitarra)

Quando è stata la vostra prima data all’estero e come l’avete vissuta?

La prima risale al 2007 ed è stata una data in Portogallo ad un festival, periodo natalizio. E’ nata per caso, perché il gruppo che era stato ingaggiato aveva dato buca. Si trattava di una band dello stesso roster dell’etichetta. I Fleshgod Apocalypse erano attivi da poco, avevamo solo un demo di due
pezzi all’attivo. Ma eravamo già a Guarda, in Portogallo. Come tutte le prime volte è stata traumatica. Avevamo una lineup discontinua, dei problemi interni fisiologici…

Quali sono le principali differenze tra un live in Italia e uno all’estero?

La differenza sostanziale è tra pubblico europeo e quello del resto del mondo. A parte alcuni casi, vedi Usa, non è cosi abituato ad avere tutti i live che ci sono in Europa. Anche l’Italia è stata abituata ad avere un
sacco di tour, anche se ultimamente un po’ meno. C’è più desiderio nel
resto del mondo. I live vanno ancora bene per il metal in Italia, ma all’estero – in Australia, Giappone, Sud Africa, India, Sud America, Indonesia – c’è più affluenza. L’altra grande differenza è per la band. Se hai più successo all’estero che in Italia è difficile ricalibrare il concetto qui. Noi facciamo sold out a New York e magari in Italia si fatica ancora un po’, anche se le cose stanno cambiando con gli ultimi due dischi.

The Violation

Come funziona la strutturazione di un vostro tour?

La grande differenza anche qui è tra tour continentali e fatti fuori Europa, in paesi in cui si suona solo nelle capitali, magari con distanze diverse. Il primo è tutto su gomma, tour bus e date tutti i giorni. Nel secondo (Asia, Australia, Indonesia, Cina, Russia e regioni baltiche) gli spostamenti si fanno volando. Data/volo/data/volo ecc. Sono tour lunghi, però è il modo migliore per contenere i costi e ottimizzare promozione e presenza sul territorio. Ogni tour lo viviamo con entusiasmo, nonostante il distacco da casa e la nostalgia. Cogliamo sempre l’occasione.

Cosa dovrebbe cambiare, in Italia, per favorire la musica dal vivo?

Il problema dell’Italia è innanzitutto infrastrutturale. Non è remunerativo da subito. Forse negli anni ’80 e ’90 di più, ma se tutto ciò che viene creato va mantenuto, rinnovato è meglio. Invece ora spesso trovi situazioni obsolete. Idem promoter, agenzie ecc. Anche in momenti di perdita andava coltivata la scena. L’idea sbagliata in Italia è che sia importante avere un profitto immediato. Questo non crea una scena, anzi la riduce. Ora i festival migliori sono all’estero. I fan si creano, ma se non c’è un’offerta non c’è
neanche la domanda. Se fanno un concerto Metallica, Rammstein, Iron Maiden riempiono, il resto è considerato merda. Il promoter in Italia ci perde perché ha due locali. Ho visto gruppi all’Estragon con due file
di persone. Ovvio che non può reggere le situazione. Se hai a disposizione solo locali grandi o micro non puoi differenziare. Non c’è match. Non c’è la borghesia. Questo atteggiamento ha pesato anche sulla cultura musicale degli italiani. Anche le cose che sembrano più commerciali nascono sempre in cameretta. Ma devono essere coltivate, altrimenti spariscono, o non attira.

Monnalisa

Sempre pensando all’estero: 3 date memorabili e perché.

3 date memorabili sono: quella di Perugia nel 2018, in cui abbiamo girato il dvd (con la partecipazione di un sacco di amici e con il quintetto); quella di Wacken del 2014, importantissima perché ci ha dato un boost incredibile anche di promo; quella a New York ad aprile 2019.

3 aneddoti incredibili?

3 aneddoti…ce ne sono successe di tutti i colori. Ci hanno quasi arrestato in Russia, abbiamo passato 3 giorni in dogana. Ci hanno fatto un bello scherzo. Siamo rientrati passando dalla Lettonia. Dal tour europeo siamo andati fino a Mosca, poi San Pietroburgo e rientrati dal nord. Era il 2010, o qualcosa del
genere. Altro aneddoto, in negativo purtroppo, quando ci hanno derubato in Svezia nel 2018, creandoci un gran danno. Poi positivi: il tour on the road in Sud Africa, incredibile. Dal tour inglese, tornando, ci siamo fermati a Francoforte, volato a Oslo, poi Roma e poi Sud Africa. E dopo in
America, in Texas, guidando il furgone siamo poi arrivati a Sacramento e poi coast diretto di 4000km, e ancora da Ny in Italia! Entusiasmante. Poi la prima volta che siamo stati in Giappone. Loro hanno una grande ammirazione per gli italiani, come quasi tutti all’estero. Soprattutto professionalmente siamo considerati tra i migliori. Qualcuno ha da ridire
sull’organizzazione, ma per creatività e capacità siamo un popolo invidiabile. C’è una grande ammirazione per l’Opera, la cultura italiana, il death metal…

Quale paese è più ricettivo nei vostri confronti?

Il nostro mercato di riferimento è gli Usa: siamo entrati 4 volte in classifica, l’ultima al quinto posto della classifica rock. Sulla Billboard 200 ci siamo classificati 87esimi. Siamo entrati 15esimo nella classifica rock in Inghilterra, eppoi al 42esimo posto nella top 100 tedesca e all’81esimo della francesce. Australia, Giappone sono i luoghi dove facciamo più sold out. Molto bene anche in Canada, Messico, Indonesia, India, Francia, Svizzera. In generale va bene da tutte le parti. In Italia altalenante. Ma non è colpa dei fan. A volte ci fanno suonare in strutture inadeguate. Il fan porta i soldi, va coccolato. Ci vuole un minimo di attenzione.

Numeri: dati di vendita, biglietti venduti o quant’altro di interessante
vi sentite di segnalare a riguardo delle vostre esperienze fuori dallo
stivale.

Nemmeno Ligabue vende più. I promoter devono vagliare. Il nostro show ha un costo enorme. Devi vendere lo show al fan. E’ brutto se non puoi usare un sacco di cose e viene fuori uno spettacolo mediocre. Il quintetto d’archi costa, ma è meraviglioso! Per anni siamo andati sotto budget. Devi
investire su te stesso. La scena va costruita, non è una vacca da mungere. Wacken ha cominciato a guadagnare dopo 15 anni. Hellfest idem, Graspop anche. La nave pure, prima sono stati in breakeven per anni.

Quali colleghi italiani hanno, a vostro parere, un effettivo respiro internazionale o potrebbero averlo e perché?

Attualmente tra i gruppi italiani metal: Lacuna Coil, Rhapsody (tutti e due), Destrage di Milano (che hanno grande potenzialità), tantissimi gruppi death. Dico tutti metal perché è il genere più cantato in inglese, e già di default ha un bill internazionale. Modern Age Slavery, Hideous Divinity, Nightland, Vision Divine, Hour of Penance sono altri nomi di primo piano.

Cosa pensi del Pay to Play?

No comment. Faccio parte dell’ultima generazione di band che non hanno pagato per suonare. La prima ragione è che non c’era la crisi del mercato, i gruppi suonavano meno e guadagnavano di più. Nessuno aveva bisogno del supporto economico alle spalle. Poi l’altra ragione è la qualità. Abbiamo venduto merch da subito, trovato un contratto discografico da subito su MySpace. Non è mai successo che ci abbiano chiesto di pagare. E’ un
cancro, il più grande. Perché prima di tutto è una sorta di ricatto fatto illudendo le band, viene venduto il concetto di esposizione e promozione, ma non è mai funzionato fino in fondo. Esistono gruppi che hanno fatto tour con i nomi principali ma dal giorno dopo non se li è più inculati
nessuno. Chi ti dice di pagare non vale niente. Poi c’è un problema di dignità. Togli spazio a chi lo merita.

Intervista ai THE CROWN: MARKO TERVONEN racconta i 20 anni di DEATHRACE KING e chiude le ferite sanguinanti

di Francesco Bommartini

Vedo un po’ di sole in sottofondo….

Comincia così, e con un sorriso, l’intervista con Marko Tervonen, chitarrista e membro fondatore dei The Crown, death metal band svedese che si è fatta un nome nel genere. A partire, innanzitutto, da Deathrace King, disco che ha dato alla corrente svedese una sveglia non indifferente. Compositore di tanti ottimi brani della band.

E’ forse il nostro album più importante. Un disco con una buona produzione, nato nello studio Fredman. Ho dei ricordi selettivi e solo positivi sull’intera esperienza. Le registrazioni sono state fantastiche, abbiamo trascorso in studio circa tre settimane. Fortunatamente per noi lo studio è molto vicino a dove viviamo, Göteborg. Abbiamo avuto anche una paio di cantanti ospiti: Thomas Lindbergh su Devil Gate Ride e Mikka Luttinen su Total Satan. Lo scorso anno abbiamo suonato in Finlandia e Mikka è venuto a trovarci e si è unita a noi sul palco. Eravamo ben preparati per la registrazione di Deathrace King, sapevamo ciò che volevamo ottenere.

La cover di Deathrace King

Eri anche piuttosto giovane!

Sì, e quando sei giovane ti sembra tutto più bello. Più vai avanti più glorifichi il passato, dimenticando le cose brutte. Però per Deathrace ho veramente un bel periodo. Ci sono band che hanno una sorta di formula e funziona alla grande, ma per noi non è così. E’ un disco variegato. L’album inizia con questo 4 battiti con un pezzo “orecchiabile” e finisce quasi vicino al black metal, e da qualche parte nel mezzo c’è una canzone con 2 note per cinque minuti. Abbiamo sempre cercato di ampliare il sound, così in Deathrace King non è stato strano includere una canzone come Dead Man’s Song, più industriale. Sono contento di non aver mai scelto di far diventare i The Crown gli AC/DC del death metal. Così possiamo fare dalla ballata alla roba strumentale, possiamo sforare musicalmente dappertutto. E mi piace davvero.

Che differenze ci sono tra la composizione nei The Crown oggi e vent’anni fa?

Oggi va molto la modalità di scambiarsi file virtualmente. Ma per noi non è la soluzione per fare un album solido. Quindi per Cobra Speed Venom siamo tornati a comporre insieme e a registrare le prove. Il che significa che lo facciamo insieme, quindi direi che nel 2020 il nostro approccio è praticamente lo stesso di 20 anni fa. Di solito faccio una demo adeguata e la invio ai ragazzi, così arriviamo alle prove coinvolti e possiamo arrangiare il tutto. Lo sforzo è di squadra, è un lavoro dell’uomo. Io e Magnus (Olsfelt) siamo i principali compositori, ma durante le prove tutti siamo molto consapevoli e quando approcciamo i pezzi dell’uno e dell’altro abbiamo già una chiave di lettura condivisa. Ora partecipa alla composizione anche Robin (Sorqvist). E’ un lavoro di squadra, certo ci scontriamo anche un sacco ma questo processo rappresenta il nostro legame come band. Oggi, ripeto, è possibile semplificare alcuni processi virtualmente ma per noi non è il metodo migliore.

Qual è la tua canzone dei Deathrace King preferita?

Se devo sceglierne solo una sarebbe Dead Man’s Song. E’ molto differente dalle altre. Ha quel tipo di groove che mi piace, e il testo è diventato così fottutamente originale. Ma se voglio qualcosa di più energico credo che Killing Star sia diventata una canzone epica. L’abbiamo inclusa anche in set live recenti.

Perché vi siete sciolti circa 15 anni fa? E perché siete tornati nel 2009?

15 anni fa eravamo un po’ esauriti. Ricordo che Magnus annunciò che sarebbe diventato un papà e ovviamente sarebbero cambiate le sue priorità nella vita. Poi eravamo piuttosto sfiniti perché era dal 1990 che eravamo in corsa, cioè da quando avevamo 14 anni. La band era tutto. Quest’anno, festeggiamo 30 anni, il che è pazzesco! I The Crown erano sempre stati la priorità e quando siamo cresciuti era difficile stare dietro a tour, festival e impegni. Quindi eravamo arrivati alla conclusione che, non essendo più bambini, dovevamo cambiare. Io non avevo niente su cui ripiegare, non un lavoro (neanche occasionale). E le bollette non si pagano da sole, soprattutto se la mamma non se ne prende più cura (ride). Sai che invecchi, quindi è stato molto difficile. Ok, a posteriori ho detto così tante volte che è la cosa migliore che ci sia successa. Perché in realtà per la prima volta siamo stati costretti a pensarci fuori dalla band. Quindi alcuni hanno trovato un buon lavoro ed altri, come me, sono diventati papà. Quando è tornata la voglia di suonare avevamo più energia. Quel periodo è stato utile anche per creare molta distanza dall’intera scena musicale, permettendoci di capire appieno che volevamo ancora farne parte! Ora credo davvero che quando ci riuniamo e facciamo le nostre cose le facciamo bene, e ci divertiamo molto. Alla fine ci dà qualcosa di positivo, ma noi non siamo in quella situazione per cui dobbiamo sacrificare così tanto. Sappiamo che la band va in parallelo con il nostro tipo di vita normale.

I due Tervonen

Riesci a registrare dei video con tuo figlio su YouTube…

Sì, è davvero incredibile. Compie 15 anni tra poco. E’ un buon chitarrista, quel piccolo è meglio di me. Si è interessato al mio tipo di musica, ma ama davvero questa roba e ha imparato molte cose guardando i video su YouTube. Gli ho anche fatto provare la batteria un paio d’anni fa…Ha formato una band, i Sarcator. Fanno thrash old school. Dopo questa follia del Coronavirus registreranno un album di debutto, sarà pubblicato dall’etichetta americana Redefining Darkness. Lo produrrò io, sarà fantastico! Facciamo un sacco di cose assieme, abbiamo anche il canale YouTube chiamato Shred’em All. Suoniamo tutti i tipi di schifezze e quant’altro ed è molto divertente.

Quindi sarai un mastermind per tuo figlio: produttore, manager, booker…

Posso essere il produttore ma non sarò manager. Devono fare i loro errori. Io sarò lì a controllare, a consigliare. Ma devono volare da soli.

Quale altro tipo di lavoro fai?

Io lavoro in DHL, la divisione globale della catena di distribuzione DHL, lavoro per un team nordico che si chiama It Solution. Mi occupo di Finlandia, Norvegia, Svezia. Sono dedicato alla gestione e implementazione per i clienti. Lavoro da casa ma c’è anche necessità di viaggiare.

Ora puoi prendere la macchina del tempo. Cosa cambi del tuo passato, come uomo e come musicista / gruppo musicale?

So che ogni uscita e decisione che abbiamo preso come The Crown l’abbiamo sempre fatto al meglio, ma il risultato finale può variare. Death is Not Dead è stato un album difficile. Se avessimo aspettato sei mesi o qualcosa del genere sarebbe stato un album molto migliore, perché l’intero processo era strano. Forse saprai che Janne dopo quel disco è volato negli Stati Uniti per lavorare con Apple. Diciamo che secondo me non è stato abbastanza bravo. Ma comunque nessun rimpianto.

Quali sono altri generi che ascolti, a parte il metal?

Sono di gusti musicali abbastanza ampi. Ci sono un sacco di diversi tipi di musica che viene suonata in casa. Posso godermi la musica pop o qualsiasi altra cosa, ma tendo a gravitare sulla musica che è forse un un po’ triste. Dalla cantante islandese Björk ad alcune band svedesi, ma pure i Paradise Lost non metal, quindi l’album senza distorsioni.

Dentro o fuori.

Devi sceglierne solo uno, ok?

Metallica o Iron Maiden?

E’ facile: i Metallica sono molto importanti per me. E se anche dopo qualche birra la musica diventa sempre migliore non sono un grande fan dei Maiden.

Vino o birra?

Birra. Posso godermi un buon bicchiere di vino, specie un rosso. Ma sì, sono nato e cresciuto con la birra quindi è nel mio Dna. Quando avevo 15 anni avrei bevuto qualunque cosa ma oggi mi piacciono le birre con più sapore, le birre un po’ più pesanti.

In Flames or Soilwork?

In Flames: hanno il mio totale rispetto. Forse non erano una band così originale agli inizi, ma più tardi hanno intrapreso un percorso più personale.

Cd o Vinili?

CD per la semplicità. Adoro i vinili, questo è il modo in cui sono stato cresciuto, comprando i vinili guardando queste bellissime copertine, l’odore del vinile che conosci… Non odio lo streaming, anzi lo uso molto. Credo che l’ultimo cd che ho comprato sia stato Death Magnetic. In realtà mi dispiace aver venduto un sacco di vinili, specie quelli di death svedese. Avevo prime stampe di tutte quelle cose, perché le comprate quando sono uscite. Non avevo un lettore di vinile da 10 anni, gli lp erano in garage…ho usato quei soldi per costruire qualcosa nella mia casa. Ma mio figlio invece si è procurato un lettore di vinile, quindi ora ne abbiamo uno in casa.

Slayer o Tetament?

Prima di tutto devo dire che sono felice di aver visto gli ultimi Slayer. E’ stato lo spettacolo teatrale più incredibile che abbia mai visto. Li ho visti 4 volte, credo che la prima volta sia stato nel 1995. Amo gli Slayer ma dico Testament, anche se l’estate scorsa ho incontrato Chuck Billy ed è stato fantastico.

110 e lode per la tesi sul Death Metal scritta da un ragazzo toscano, tra Morbid Angel, Death e…Subhuman

di Francesco Bommartini (sostieni il blog con un caffè al mese https://www.patreon.com/accessoriservato)

Si chiama Gabriele Lazzerini l’autore da 110 e lode della tesi sul death metal che sta facendo parlare gli amanti del genere di tutta Italia. Il titolo completo dell’elaborato é “Produrre l’impatto: verso una definizione dell’esperienza d’ascolto del death metal”. 30 i dischi presi in esame: da Cause of Death degli Obituary a Indecent and obscene dei Dismember, da None so Vile dei Criptopsy a Nightmare made flesh dei Bloodbath, passando per Considered Dead dei Gorguts, Symbolic dei Death, Fury and Flames degli Hate Eternal, Surgical Steel dei Carcass…un modo per coprire anche cronologicamente l’evoluzione del genere.

Da quanto si può evincere dall’intervista qui sotto, Gabriele ha un approccio tutt’altro che manieristico nei confronti della materia. Ed è anche andato a ricercare album francamente inaspettati. Tra questi Tributo di Sangue degli ottimi Subhuman, che ho visto live a La Spezia nell’estate 2018.

In cosa consiste esattamente la tua tesi e quanto lavoro ti ha richiesto?

Ciao Francesco, ti ringrazio per il tuo interessamento. Alla base della mia tesi c’è un interrogativo di più ampio respiro sulle motivazioni per cui l’essere umano continua ad ascoltare e a fare musica oggi. Mi pongo da sempre un sacco di domande che a loro volta ne generano altrettante, e di base posso dirti che circa tre anni fa le riduzioni – per me troppo semplicistiche – al gusto soggettivo, al tanto reclamato “istinto” e alle necessità di tutto il regno animale di comunicare in maniera artistica e creativa non sono più bastate. Già questi ultimi punti sono estendibili di “perché” a cui sarebbe bello, un giorno, poter dare risposta. E dato che sono proprio i dettagli a dar forma alle vite e al pallore del quotidiano, appena finito il percorso di laurea triennale a Pisa, ho deciso di trasferirmi a Cremona iscrivendomi al biennio magistrale in Musicologia. Tagliando corto e sintetizzando, alla base della mia tesi c’è la banale constatazione che la maggior parte di coloro che non posseggono familiarità con il death metal tendano a riassumerne i connotati stilistici con frequenti associazioni al rumore, il che porta a comuni desinenze all’approfondimento del genere stesso. Certo, per rilevare questo non servivo io e un anno e mezzo dedicato interamente alla scrittura: la cosa però si fa più interessante quando ci ricordiamo che di rumore, proprio, non si tratta. Cosa genera in automatico, allora, questi misunderstandings? Quali sono le tipicità del death metal maggiormente imputabili a innescare questi frettolosi giudizi? La mia ricerca, durata tutto il percorso, ha permesso di evidenziare come molte delle “bussole” con cui sono abituati ad orientarsi nell’ascolto coloro che ricercano nel consumo della musica un momento di svago disinteressato, nel death metal, vengano negate o compromesse. Per fare solo pochi esempi, nel genere le strutture formali (ritornelli, strofe, bridge ecc) sono poco chiare, sovrapponibili, e spesso confluiscono l’una nell’altra attraverso transizioni musicali improvvise; vi è inoltre un abbondante utilizzo, in sede compositiva, di scale simmetriche (cromatica, esatonale, aumentata, diminuita ecc) per cui il senso di tensione e risoluzione dato dall’asimmetria intervallare che invece interessa la scala maggiore viene perso. Virtualmente, in termini molto semplici, ogni punto dei riff può rappresentare il suo inizio o la sua fine, e ciò può causare disorientamento per chi non è abituato all’ascolto. Tuttavia ho ipotizzato che l’elemento che va a rendere maggiormente complesso un primo approccio al genere sia proprio il timbro. La distorsione, che in gran parte della Popular Music interessa essenzialmente la chitarra, nel death metal è estesa all’intero organico strumentale e alla voce. In generale è quindi possibile parlare di spettromorfologie inarmoniche, che nel contesto storico e culturale occidentale vengono spesso fraintese con il rumore e considerate alla stregua di un unico fenomeno acustico privo di dignità formale e artistica (seppure, sul piano dell’identità spettrale, si tratti di elementi differenziati e dunque DA DIFFERENZIARE!). A questo proposito, tutto il passato della nostra tradizione compositiva e della liuteria ha fatto sì che nella società si radicasse l’idea che il rumore (e parallelamente l’inarmonico) fosse un entità da respingere e che, inoltre, fosse interrelato all’esperienza del dolore, rappresentando qualcosa che potenzialmente è in grado di provocarlo. Ciò che a questo punto diventa interessante considerare è che la nostra percezione del suono non dipende unicamente dal ricavato informazionale del senso dell’udito. Al dato puramente acustico si vanno infatti ad integrare ulteriori stimoli che ne ricercano automaticamente il legame con il contesto della fonte che lo ha generato, ma anche fattori intermediali di natura extra-contestuale legati, ad esempio, all’esperienza personale del suono stesso, al significato che esso assume nella cultura d’appartenenza dell’ascoltatore, a che sensazione proverei se lo avessi generato personalmente, oltre che ad associazioni metaforiche con oggetti o soggetti che ne condividono aspetti qualitativi (motivo per cui spesso un suono grave viene associato a un oggetto “visivamente” pesante, per dirne una). Ho quindi ipotizzato che alla base dei frequenti fraintendimenti con il death metal ci possano essere (al di là del gusto, della tolleranza, e delle dinamiche strettamente soggettive) anche i meccanismi che regolamentano la percezione, per cui i livelli di saturazione inarmonica che lo contraddistinguono porterebbero, sul piano cognitivo, a processarne i timbri caratteristici anche in accordo a un immaginario da cui, culturalmente e storicamente, siamo abituati a “difenderci”, a fuggire (in questo anche l’estetica di abbondante gorehorror e satanismo gioca un ruolo molto significativo) o a sminuire. Questo è, appunto, il motivo per cui una tesi di laurea magistrale sul death metal suscita così tanto scalpore. Ci sono inoltre le basi fisiologiche: l’analisi algoritmica del segnale sonoro, portata avanti servendomi del software Sonic Visualiser mi ha permesso di rilevare, ad esempio,  che per il campione d’analisi dei trenta dischi da me selezionati sia presente un valore di centroide (concentrazione energetica) medio di 3333 Hz. Il risultato diventa particolarmente significativo se pensiamo che la frequenza di risonanza del canale uditivo coincida con i 3-4 kHz: siamo particolarmente sensibili e reattivi a questa fascia, percependo i suoni che “vi ricadono” come più intensi rispetto al volume reale. Ma non finisce qui.. gli aspetti che ho analizzato sono tanti altri e questi sono solo pochissimi esempi. Mi è quindi venuto spontaneo interrogarmi su quale sia la disposizione d’ascolto, messa in pratica dai metalhead, che permetta prima di abituarsi e interiorizzare, poi di ricercare e amare, suoni “potenzialmente” spiacevoli e dall’indiscutibile impatto. Sono in particolare debito con teorie quali l’ecoute reduite di Pierre Schaeffer e l’active listening di Andrew Hugill, ma alla fine ne sono venuto a capo con una personale. Una seconda parte della mia tesi è infine dedicata all’indagine dei piaceri d’ascolto del death metal, in cui ho voluto mettere in evidenza come le peculiarità timbriche e compositive di questo genere musicale possano cooperare, innescando un’esperienza d’ascolto immersiva e coinvolgente in un universo musicale che rivendica il suo status primario di suono, interagendo anche con le nostre strutture corporee.

Gabriele in azione

Perché hai scelto di trattare proprio il tema del death metal?

Al di là di quello che già sarà trapelato dalla scorsa risposta, che sottintende la volontà di indagare profondamente le strutture intime che animano ciò che più mi sta a cuore, ho scelto un tema come il death metal perché la letteratura accademica che lo approcci in maniera più scientifica è oggettivamente scarsa. Studi che ne ripercorrono seriamente le principali fasi storiche, così come quelli incentrati sulle dinamiche più sociologiche e culturali, sono fortunatamente già stati fatti (anche se raramente in Italia). Penso tuttavia che necessitino di venire accostati da altri interrogativi che ne esaltino la complessità e la dignità anche su altri piani dell’estetica e dell’arte. Altra motivazione è stata, ovviamente, l’averlo suonato tanto, suonarlo ancora ed essermene conseguentemente innamorato, anche per le particolari disposizioni che richiede per essere insegnato-appreso compiutamente sullo strumento.

Cosa significa essere metallaro per te?

Cosa voglia dire essere metallaro dipende dalle inclinazioni soggettive di chi fa parte della scena e dall’influenza  di chi sta fuori.  Può voler dire gonfiarsi di birra, possedere gelosamente tutte le prime demo e le magliette di tutte le band più importanti per il genere, fino a conoscere a memoria i nomi e la data di nascita di tutte le tizie che hanno deliziato i nostri paladini in tour. Può voler dire sentirsi legati indissolubilmente ai propri “fratelli” in giro per il mondo, commuoversi guardando Rocky e “cinguettare” amabilmente agli animaletti domestici mentre dall’esterno tutti ti vedono come l’antitesi del bravo ragazzo in grado di provare empatia. Può voler dire decidere di identificarsi in quel “cattivo ragazzo”, mandando tutti a quel paese senza fornire spiegazioni, forti del fatto di poter contare sulla musica “più tosta di tutte” come supporto incondizionato. Essere metallaro può voler dire impermeabilità nei confronti di nuove “minacciose” proposte musicali, essere reazionari e talvolta vivere in un passato che non si è mai vissuto, forse distorto e idealizzato, il tutto per partito preso e senza la voglia (lecita) di capire il perché. Essere metallaro vuol dire anche apertura al dialogo e al confronto con gli altri, accettando che forse i migliori dischi delle band non sono solamente i primi due. O forse sì, sono proprio i primi due. Ma essere metallaro, in ogni caso, vuol dire vivere un rapporto personale profondo con la propria musica, un rapporto di onestà e sincerità che porta a smembrarla e a volerla conoscere anatomicamente, quel tanto che basta a soddisfarci nella nostra “fame” singolare, individuale. Quello che conta, secondo me, è proprio la volontà di raggiungere questo stato di felicità e completezza. Ognuno deve poter fare come vuole.

Il brano Immortal Rites dei Morbid Angel, tratto da Altar of Madness

Che tipo di riscontro hai avuto dal tuo relatore e dalla commissione?

Il rapporto con il mio relatore, Alessandro Bratus, è sempre stato ottimo in quanto sin da subito mi sono messo nella posizione di colui che deve solo imparare. Affacciarsi a un certo tipo di percorso universitario con la spocchia di chi conosce già tutto è la più grossa cavolata che uno può fare, magari solo perché chi abbiamo di fronte è estraneo al genere. Il death metal, seppur collocandosene ai confini, fa sempre parte della Popular Musicbranca di studi musicologici di cui Alessandro è davvero esperto.Quello di cui io avevo bisogno era un metodo d’analisi che mi permettesse di rispondere alle mie domande nella speranza di contribuire in maniera originale alla letteratura specialistica. Per quanto riguarda la commissione, avevo sostenuto esami con ognuno dei membri, che a Cremona guida corsi specifici (dall’approfondimento analitico dei repertori post-tonali, seriali, allo spettralismo, alla sociologia della musica ecc), quindi in parte già mi conoscevano come studente. Inoltre, per fortuna, docenti infinitamente competenti e preparati, seppure di estrazione musicale più “colta”, sanno bene che se la Musicologia si affronta con il paraocchi si va poco lontano. L’importante è, ripeto, la volontà di mettersi in discussione, con l’umiltà di ascoltare chi è più competente di te, che di certo non ha interesse nel raccontarti baggianate. Tutti dovremmo esserlo, più umili, soprattutto verso noi stessi. La discussione è andata per il meglio, 110 e lode!

Hai suonato in tre band importanti per la scena underground estrema. Vivendola, cosa ti senti di dire? Si tratta di una scena viva e…che problemi ci sono da affrontare in Italia dal punto di vista della musica live?

Ti ringrazio. Nel panorama estremo ho suonato come chitarrista in Electrocution, Handful of Hate e Neurasthenia. Non sai quanto mi manchino i “tupatupa” e i blast beat! Nella pratica musicale sono state tra le esperienze più significative della mia vita. Se sono ciò che sono non posso che ringraziare Neil Grotti, Matt Lehmann, Mick Montaguti, Rudy Mariani, Vella, Nicola Bianchi e tutti gli altri membri delle band per aver creduto in me. Tornando al presente, sto suonando con Il Garage Ermetico assieme a Roberto Diatz, Simone Busatti e Giovanni Palmitesta (Room 6) in cui proponiamo un progressive influenzato dallo stoner e dal grunge di scuola Seattle. Stiamo finendo di registrare il primo EP che speriamo di poter presentare al pubblico quanto prima. Al di là di questo, nell’ultimo anno ho collaborato a un po’ di progetti che stanno per uscire: uno di cui sono particolarmente fiero è il disco Fatberg del mio caro amico Marco Capellazzi (Caplaz) che uscirà il primo di maggio, ve lo consiglio perché lui è veramente un musicista ENORME. Parlandoti della scena estrema posso dirti che in Italia, a mio avviso, è estremamente viva e feconda per quello che riguarda le risorse umane…il problema è che come sempre ci tocca guardare all’estero..

Segui riviste e siti?

Seguo essenzialmente metal-archives.commetalitalia.commetal.ittruemetal.itrockandmetalinmyblood.commetallized.itmetallus.it.

DENTRO O FUORI; scegli una delle due risposte e spiega perché.

Morbid Angel o Cannibal Corpse?

Ti direi Morbid Angel perché Altars of Madness è in assoluto l’album che mi ha fatto avvicinare al death metal. Non la butterò sullo “scientifico” e l’accademico, mi limiterò a rispondere a quest’ultima parte dell’intervista di getto senza pensarci troppo. In assoluto penso che sia stato anche il primo vero disco del genere in cui ogni elemento era maturo e la brutalità della heavyness tangibile (non me ne vogliano Possessed, Carcass e Death).

Vino o birra?

Sono toscano, veda lei! Dai…è un po’ come se mi avessi chiesto se voglio più bene a mamma o a papà!

Slayer o Testament?

In questo caso ti rispondo Slayer per il contributo infinitamente enorme che hanno dato alla nascita di quello di cui stiamo parlando. Se non ci fossero stati gli Slayer avremmo qualche migliaio di dischi in meno, e forse in tanti non avrebbero nemmeno cominciato a suonare.

Cd o vinile?

CD perché passo gran parte della mia vita in macchina e, per ora, il lettore legge solo quelli.