Intervista a TONI BRUNA, tra concerti casalinghi e fuga dai social

di Francesco Bommartini

Seguo Toni Bruna da quanto ascoltai Formigole. Quel disco, probabilmente inviatomi per partecipare alle Targhe Tenco, era anche rientrato tra i miei votati, se la memoria non mi inganna. Sembra incredibile che un album cantautorale “classico”, in dialetto triestino, abbia colpito così tanto, e non solo il sottoscritto. Ma così è.

Sicuramente la figura del suo autore mi affascina: schivo (quantomeno sui social), partecipa a concerti a cui viene perlopiù invitato e si comporta in un modo totalmente differente rispetto al resto del mondo della musica. Ho quindi deciso di inviargli alcune domande.

Partiamo dall’inizio: perché hai deciso di dare il via al progetto e come é nato Formigole?

Credo che da una parte sia il risultato di una ricerca, il cui fine era trovare un modo strettamente personale per scrivere canzoni. Dall’altra, forse, questo progetto è nato in opposizione all’omologazione dettata dall’industria musicale. Non c’è stata grande pianificazione, come spesso accade, almeno per me. La musica sgorga da una
qualche fonte misteriosa, poi si possono provare ad analizzare a posteriori i motivi e le ragioni che l’hanno generata, ma è sempre un operazione che da risultati ambigui.

Sei rimasto sorpreso dal buon riscontro ottenuto da quell’album, alla luce anche del dialetto che utilizzi? A tal proposito: perché canti in dialetto?

Uscire con un qualsisi progetto musicale da Trieste è già un buon risultato, uscirne con uno in dialetto, per me, è stato e continua ad essere commovente. Non tanto per gli eventuali meriti personali ma per questioni legate alla natura della città e dei suoi abitanti. Trieste è un posto che ti porta ad abortire qualsiasi idea e iniziativa prima ancora di iniziarla, è un posto in cui si è portati a sabotare il lavoro degli altri ed il proprio, è un meccanismo psicologico profondamente radicato nella popolazione.
Canto in dialetto perchè questa è la mia prima lingua e forse, ancora, è la prima lingua parlata in città. Qui, a differenza di altri posti però, il dialetto non è un reperto da museo da tutelare e preservare, qui è una creatura ancora viva, è uno strumento per comunicare che viene reinventato quotidianamente dai parlanti.

Hai un modo particolare di promuovere il tuo progetto, ma anche molto interessante. Parlacene.

Non userei la parola promuovere, ho qualche difficoltà ad associare questo vocabolo al mio modo di fare musica. Sostituirei promuovere con “cercare di creare relazioni oneste tra chi scrive, suona e canta e chi ascolta”. Per me esiste lo scrivere e il fare musica, il resto segue una strada propria, le canzoni vanno dove vogliono andare.
Non uso i social perchè sento che non fanno al caso mio, ho provato a mettermici ma la sensazione che mi resta è quella per cui, il tempo passato a svolgere quell’attività, è tempo rubato alla vita. Per riuscire bene a “promuoversi” sui social bisogna passarci molto tempo e sinceramente preferisco fare altro. Questo meccanismo è ben visibile oggi, a mio parere, si vede che gli “artisti” che hanno successo, passano più tempo sui social che a far musica. A tutti gli effetti, nell’industria musicale, la musica è un elemento accessorio ormai.

Come affronti i concerti e come vivi la promozione dell’ultimo album?

Non ho nessuna strategia, se ci sono le condizioni, vado a suonare dove mi invitano.
Per una qualche magica coincidenza, la maggior parte delle volte, chi mi invita, sono belle persone che sono rimaste incuriosite dal mio lavoro e a cui fa piacere saperne di più. Mi piace pensare che se si lavora in maniera onesta e coerente, si producono opere che risuonano nelle persone, per cui questi valori sono importanti.

Ascolti musica italiana? Quali artisti senti di citare tra i tuoi preferiti, di ieri e di oggi?

La musica italiana non ha più rilevanza per me rispetto alla musica di un altro qualsiasi posto. Sono una creatura del confine e per fortuna non ho uno stato nazionale a cui far riferimento o a cui mi sento di appartenere. Non presto particolare attenzione a quello che succede musicalmente in Italia, probabilmente ci sono cose interessanti, ma coi tempi che corrono, penso che sia molto diffcile
scoprirle. Mi incuriosisce molto Bello Figo, è uno che riesce a star antipatico a tutti e non è facile.

Che progetti hai per il futuro?

Continuare nella direzione che ho preso già anni fa: perseguire l’obiettivo dell’indipendenza alimentare ed energetica, continuare a tessere la rete delle relazioni umane, credere nell’incredibile.

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Pubblicato da

bommaraya

Giornalista. Rock Trotter. Amante della vita e delle sue sfumature.

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