di Matteo Roncari
Il mio approccio al death metal di matrice americana iniziò prestissimo ma non con i Death, bensì con altre bands come Morbid Angel, Obituary e Cannibal Corpse.
Purtroppo l’ascolto dei Death avvenne ahimè solamente dopo la morte di Chuck Schuldiner, risalente oramai al lontano 2001.
All’epoca avevo una band anch’io ed il batterista dell’epoca mi prestò “The sound of perseverance”: il primo ascolto fu del tutto infelice, all’interno di quel disco ci trovai un’accozzaglia di suoni che non capivo.
In realtà mi accorsi con il tempo che stavo solo giudicando e che non ero in grado di saperlo ascoltare: così appena assimilai pezzi come “Flesh and the power it holds” o “Bite the pain” mi pentii amaramente del mio affrettato giudizio.

E’ il disco a cui sono maggiormente legato: i suoni, le melodie, i testi, gli assoli, la copertina, tutto appare perfetto.
Sicuramente è l’album che annovero tra i fondamentali della mia discografia e della mia persona.
Ancora oggi nel lettore girano pezzi che letteralmente amo come le già citate “Flesh and the power it holds”, “Bite the pain”, ma anche “Spirit crusher” o “A Story to tell”.
Bellissimo anche il pezzo acustico “Voice of the soul”.
Una pietra miliare del genere.

Di pari grado nella mia personale classifica è SYMBOLIC: il secondo posto è dovuto al fatto che ho meno momenti personali legati a questo disco.
Anche di questo album amo praticamente tutto: suoni, melodie, assoli, riffs, copertine, liriche.
Pezzi fondamentali sono oltre la titletrack anche “Zero tolerance”, “Empty words”, “1000 eyes”, “Without Judgement”, “Misanthrope” e la conclusiva “Perennial Quest”, vera poesia in musica.

Al terzo posto aggiungo HUMAN per un semplice motivo: è il disco che ho ascoltato e che ha accompagnato la mia laurea.
Un album che ha dato modo al combo statunitense di affermarsi ufficialmente sulla scena per aver mescolato non solo il suono aggressivo, ma anche liriche votate alla critica sociale, alle crisi di coscienza ed alle problematiche della quotidianità.
Forse è anche per questo che i Death si sono avvicinati alle persone, per il semplice fatto di esser stati capaci di raccontare storie di ordinaria difficoltà nelle quali tutti ci si possono immedesimare.
Appare pertanto doveroso non solo citare questa band ma anche tutti i membri che ne hanno fatto parte e che ci hanno lasciati: Chuck Schuldiner, Scott Clendenine e più recentemente Sean Reinert.