di Matteo Roncari
Tra le mie passioni non c’è solo il doom o il gothic doom ma anche il black metal, ancor di più se ricercato.
Gli ANCIENT RITES non sono solamente pionieri del genere ma hanno sempre dosato una cattiveria in musica mixando gusto ed originalità e spaziando da un black primordiale ad un songwriting denso di spunti letterari, di tradizione e riferimenti alla cultura della loro terra.
Scoperti nel lontano 2001 leggendo la rivista “Grind Zone” decisi di acquistare la loro fatica “DIM CARCOSA”, un album che mi conquistò immediatamente e che mi spinse a cercare ed ascoltare anche i lavori precedenti e continuare a collezionare i successivi.
1 – DIM CARCOSA

E’ indubbiamente uno degli album più belli che il gruppo belga abbia prodotto insieme a “Fatherland”: uscito per Hammerheart Records il disco si presenta con un elegante digipack con i bordi in rilievo proprio come se fosse un libro antico da sfogliare.
L’intro è da pelle d’oca con una melodia di pianoforte soavemente suonato da Domingo Smets che si sviluppa e coinvolge l’ascoltatore e che riecheggia in ogni brano.
Le melodie di pezzi come “And the hornes called for war”, “Victory or Valhalla”, “North Sea” permangono nella testa e nelle orecchie dell’ascoltatore e lo accompagnano in un viaggio nel passato a riscoprire l’Antica Europa del Nord.
Bellissimo anche l’intermezzo musicale Remembrance e ottima anche la performance vocale del leader Gunther Theys, versatile nell’alternare growls e linee vocali pulite.
Un’icona del genere ancora oggi dopo anni e anni di ascolti.
2 – FATHERLAND

La sola “Mother Europe” vale l’acquisto dell’album: una canzone così rappresenta un inno per ogni europeo legato alla propria terra, alle proprie origini, una lirica da cui molti dovrebbero prendere spunto e riempirsi d’orgoglio.
Una canzone di una potenza unica, di un coinvolgimento totale, che continua a farmi sobbalzare ad ogni ascolto anche grazie ai taglienti riffs e assoli dei chitarristi Erik Sprooten e Jan Yrlund.
Ma non è l’unico caposaldo: anche altri pezzi come “Aris” o la stessa “Fatherland” rappresentano in pieno la visione musicale ed il concept del gruppo belga che, con quest’opera, datata ormai 1998, ha raggiunto un’evoluzione ed un’affermazione del proprio sound e stile.
Un disco da avere a tutti i costi ma che inserisco al secondo posto solo perché oscurato dalla bellezza del suo successore “Dim Carcosa”.

Al terzo posto della mia personale classifica degli album degli ANCIENT RITES inserisco “Blasfemia Eternal”: rispetto ai suoi successori quest’album, del 1996, presenta un sound logicamente più grezzo dove tuttavia già si intravede la predisposizione del gruppo alla sperimentazione, alla ricerca, alla volontà di affermazione del proprio sound in pezzi come “Epebos Aionia”, “Garden of delights”, “Blood of Christ”.
In “Blasfemia Eternal” traspare la genuinità e la sincerità di una band agli esordi e rappresenta la radice che porterà ai capolavori di cui sopra.
Bellissima la copertina che prende spunto da un’opera di Goya; da segnalare che questo capolavoro è stato ristampato di recente anche in un’elegantissima edizione in vinile.
Un ricordo anche al recentemente scomparso Walter Van Cortenberg, batterista della band.