di Matteo Roncari
Nella scena heavy metal è curioso che tra i miei gruppi preferiti di sempre molti di essi siano italiani e non ne faccio solo una questione prettamente musicale ma anche e soprattutto una questione di punti di interesse, sensibilità ed argomenti trattati.
Nelle bands italiane c’è chi ha menzionato infatti argomenti storici e riferimenti letterari: per tale motivo citare i parmensi DARK LUNACY mi riempie d’orgoglio. E’ fuori discussione quale sia il loro lavoro più celebrato e significativo: per i fan e per il sottoscritto DEVOID rappresenta in toto la loro essenza.
Mi avvicinai alla band proprio grazie a quell’album e ad una recensione su Metal Shock datata oramai primi anni 2000; acquistai il disco solamente a Maggio 2002, troppe le uscite importanti in quel periodo e troppo pochi i soldi che avevo messo da parte: tant’è, si apprezzano i dischi anche perché ci si ricorda dei sacrifici fatti per poterli acquistare.
1- DEVOID

Non ci sono parole, bisognerebbe solamente accendere il lettore e farsi travolgere: ricordo che assimilai il disco ascoltando “Stalingrad”, un pezzo meraviglioso.
Piano piano ogni brano si è fermato, prima in testa e poi nel cuore: “Dolls”, “Forlorn”, “Cold Embrace”, “December”, ogni pezzo ha una sua struttura, una sua melodia, un suo lirismo che dona all’ascoltatore la sensazione d’un disco perfetto in ogni suo punto.
Lo sposalizio tra i riffs votati all’heavy metal, gli archi e l’utilizzo dei cori rimane infatti unico nel suo genere; anche l’intermezzo strumentale “Devoid” assume un significato preciso ed una collocazione specifica.
Da citare anche “Fall” e “Take my cry”, ogni volta che l’ascolto non vorrei mai finisse. Splendido anche l’artwork ed il video che uscì per il brano “Dolls”.

Al secondo posto nella mia personale classifica c’è proprio l’ultima fatica griffata Dark Lunacy e datata 2016.
Il motivo è dato dal fatto che la band ha affrontato un percorso non solamente storico ma anche basato su citazioni letterarie, costruendo pezzi in grado di rilasciare trasporto con gradualità: nei precedenti album infatti tante erano state le citazioni musicali legate ai canti dell’Armata Rossa che davano un impatto immediato a livello emotivo e sonoro ma che andava calando procedendo con gli ascolti.
Tra i pezzi che amo di quest’album sicuramente la title track, che segna un netto ritorno alle origini, ma anche “Gold, rubies and diamonds”, che cita apertamente “Il principe felice” di O.Wilde o “Tide of my heart”, legata alla storia d’amore tra Rainer Maria Rilke e Marina Ivanova Cvetaeva.

Sulla carta è il secondo disco dei parmensi, nella mia personale classifica sono costretto ad inserirlo al terzo posto nonostante la presenza di brani bellissimi e molto intriganti.
Fuori discussione sono pezzi come “Fragile caress”, “Through the non-time”, ma anche pezzi come “Die to reborn” e “Defaced” uscite qualche anno prima in uno split album insieme ai marchigiani Infernal Poetry.
Da un punto di vista musicale credo sia stato molto complicato replicare un album veramente perfetto come “Devoid”: in “Forget me not” c’è tuttavia un utilizzo maggiore di archi ed una sperimentazione sonora che lo rendono ai miei occhi (ed alle mie orecchie) ancora un must assoluto.
Spiace a tal proposito non citare anche gli altri tre dischi rimasti fuori da questa classifica e che comunque tengo a ricordare: “The diarist”, “Weaver of forgotten”, “The day of victory”.