Comincia con allegria il disco di Daniel Tortoledo. Ma non quell’allegria estiva e frivola, ma quella che poggia le sue ali leggere su un pop-rock convincente e sbarazzino. Quindi scordatevi i ritornelli latini che infestano le calde giornate italiche. Dovrete spostarvi, quantomeno mentalmente, in Usa, e non necessariamente a New York, dove vive il nostro cantautore moderno. L’allegria proviene dalla Venezuela, che scorre nel sangue di Tortoledo.

Tortoledo passa con naturalezza tra chitarre e piano, dipende dal brano. Quel che è certo è che ogni canzone ha una forte correlazione con l’altra, a livello di suono. Oasis e Noel Gallagher sono i riferimenti più vicini. Esempio lampante è Not too late, con un incipit chitarra-acustica e voce, prima che i fill la aprano come un melone, permettendo all’ascoltatore di succhiarne un succo di buon gusto.
Molto curata e leggiadra Intermission, quarta canzone, caratterizzata da un piano vivace ma atmosferico. Un interludio per Through out these years, brano che continua sulla falsariga, con una batteria sottile e poco invasiva, che però ritma il risultato. Più rock oriented Bottle of wine ed Eloise, con accordi pieni ed effetti tarati con amplificatori valvolari.

L’andamento è spesso molto english, in realtà. Lo si capisce anche in Spare time, con quel ride e i quattro quarti obnubilati con dinamicità. Piace il sound, piacciono i brani. Non sarà un disco indimenticabile, forse, ma una parabola alla Travis il nostro la potrebbe fare.
E scusate se è poco.