di Francesco Bommartini
Italy Export è un’indagine sui gruppi italiani che superano i confini nazionali con la loro musica, a livello discografico e/o live. Oggi tocca ai Fleshgod Apocalypse, autori di un death metal orchestrale unico al mondo. Che nel 2019 ha pubblicato l’ultima opera Veleno.
risponde: Francesco Paoli (voce/chitarra)
Quando è stata la vostra prima data all’estero e come l’avete vissuta?
La prima risale al 2007 ed è stata una data in Portogallo ad un festival, periodo natalizio. E’ nata per caso, perché il gruppo che era stato ingaggiato aveva dato buca. Si trattava di una band dello stesso roster dell’etichetta. I Fleshgod Apocalypse erano attivi da poco, avevamo solo un demo di due
pezzi all’attivo. Ma eravamo già a Guarda, in Portogallo. Come tutte le prime volte è stata traumatica. Avevamo una lineup discontinua, dei problemi interni fisiologici…
Quali sono le principali differenze tra un live in Italia e uno all’estero?
La differenza sostanziale è tra pubblico europeo e quello del resto del mondo. A parte alcuni casi, vedi Usa, non è cosi abituato ad avere tutti i live che ci sono in Europa. Anche l’Italia è stata abituata ad avere un
sacco di tour, anche se ultimamente un po’ meno. C’è più desiderio nel
resto del mondo. I live vanno ancora bene per il metal in Italia, ma all’estero – in Australia, Giappone, Sud Africa, India, Sud America, Indonesia – c’è più affluenza. L’altra grande differenza è per la band. Se hai più successo all’estero che in Italia è difficile ricalibrare il concetto qui. Noi facciamo sold out a New York e magari in Italia si fatica ancora un po’, anche se le cose stanno cambiando con gli ultimi due dischi.
Come funziona la strutturazione di un vostro tour?
La grande differenza anche qui è tra tour continentali e fatti fuori Europa, in paesi in cui si suona solo nelle capitali, magari con distanze diverse. Il primo è tutto su gomma, tour bus e date tutti i giorni. Nel secondo (Asia, Australia, Indonesia, Cina, Russia e regioni baltiche) gli spostamenti si fanno volando. Data/volo/data/volo ecc. Sono tour lunghi, però è il modo migliore per contenere i costi e ottimizzare promozione e presenza sul territorio. Ogni tour lo viviamo con entusiasmo, nonostante il distacco da casa e la nostalgia. Cogliamo sempre l’occasione.
Cosa dovrebbe cambiare, in Italia, per favorire la musica dal vivo?
Il problema dell’Italia è innanzitutto infrastrutturale. Non è remunerativo da subito. Forse negli anni ’80 e ’90 di più, ma se tutto ciò che viene creato va mantenuto, rinnovato è meglio. Invece ora spesso trovi situazioni obsolete. Idem promoter, agenzie ecc. Anche in momenti di perdita andava coltivata la scena. L’idea sbagliata in Italia è che sia importante avere un profitto immediato. Questo non crea una scena, anzi la riduce. Ora i festival migliori sono all’estero. I fan si creano, ma se non c’è un’offerta non c’è
neanche la domanda. Se fanno un concerto Metallica, Rammstein, Iron Maiden riempiono, il resto è considerato merda. Il promoter in Italia ci perde perché ha due locali. Ho visto gruppi all’Estragon con due file
di persone. Ovvio che non può reggere le situazione. Se hai a disposizione solo locali grandi o micro non puoi differenziare. Non c’è match. Non c’è la borghesia. Questo atteggiamento ha pesato anche sulla cultura musicale degli italiani. Anche le cose che sembrano più commerciali nascono sempre in cameretta. Ma devono essere coltivate, altrimenti spariscono, o non attira.
Sempre pensando all’estero: 3 date memorabili e perché.
3 date memorabili sono: quella di Perugia nel 2018, in cui abbiamo girato il dvd (con la partecipazione di un sacco di amici e con il quintetto); quella di Wacken del 2014, importantissima perché ci ha dato un boost incredibile anche di promo; quella a New York ad aprile 2019.
3 aneddoti incredibili?
3 aneddoti…ce ne sono successe di tutti i colori. Ci hanno quasi arrestato in Russia, abbiamo passato 3 giorni in dogana. Ci hanno fatto un bello scherzo. Siamo rientrati passando dalla Lettonia. Dal tour europeo siamo andati fino a Mosca, poi San Pietroburgo e rientrati dal nord. Era il 2010, o qualcosa del
genere. Altro aneddoto, in negativo purtroppo, quando ci hanno derubato in Svezia nel 2018, creandoci un gran danno. Poi positivi: il tour on the road in Sud Africa, incredibile. Dal tour inglese, tornando, ci siamo fermati a Francoforte, volato a Oslo, poi Roma e poi Sud Africa. E dopo in
America, in Texas, guidando il furgone siamo poi arrivati a Sacramento e poi coast diretto di 4000km, e ancora da Ny in Italia! Entusiasmante. Poi la prima volta che siamo stati in Giappone. Loro hanno una grande ammirazione per gli italiani, come quasi tutti all’estero. Soprattutto professionalmente siamo considerati tra i migliori. Qualcuno ha da ridire
sull’organizzazione, ma per creatività e capacità siamo un popolo invidiabile. C’è una grande ammirazione per l’Opera, la cultura italiana, il death metal…

Quale paese è più ricettivo nei vostri confronti?
Il nostro mercato di riferimento è gli Usa: siamo entrati 4 volte in classifica, l’ultima al quinto posto della classifica rock. Sulla Billboard 200 ci siamo classificati 87esimi. Siamo entrati 15esimo nella classifica rock in Inghilterra, eppoi al 42esimo posto nella top 100 tedesca e all’81esimo della francesce. Australia, Giappone sono i luoghi dove facciamo più sold out. Molto bene anche in Canada, Messico, Indonesia, India, Francia, Svizzera. In generale va bene da tutte le parti. In Italia altalenante. Ma non è colpa dei fan. A volte ci fanno suonare in strutture inadeguate. Il fan porta i soldi, va coccolato. Ci vuole un minimo di attenzione.
Numeri: dati di vendita, biglietti venduti o quant’altro di interessante
vi sentite di segnalare a riguardo delle vostre esperienze fuori dallo
stivale.
Nemmeno Ligabue vende più. I promoter devono vagliare. Il nostro show ha un costo enorme. Devi vendere lo show al fan. E’ brutto se non puoi usare un sacco di cose e viene fuori uno spettacolo mediocre. Il quintetto d’archi costa, ma è meraviglioso! Per anni siamo andati sotto budget. Devi
investire su te stesso. La scena va costruita, non è una vacca da mungere. Wacken ha cominciato a guadagnare dopo 15 anni. Hellfest idem, Graspop anche. La nave pure, prima sono stati in breakeven per anni.

Quali colleghi italiani hanno, a vostro parere, un effettivo respiro internazionale o potrebbero averlo e perché?
Attualmente tra i gruppi italiani metal: Lacuna Coil, Rhapsody (tutti e due), Destrage di Milano (che hanno grande potenzialità), tantissimi gruppi death. Dico tutti metal perché è il genere più cantato in inglese, e già di default ha un bill internazionale. Modern Age Slavery, Hideous Divinity, Nightland, Vision Divine, Hour of Penance sono altri nomi di primo piano.
Cosa pensi del Pay to Play?
No comment. Faccio parte dell’ultima generazione di band che non hanno pagato per suonare. La prima ragione è che non c’era la crisi del mercato, i gruppi suonavano meno e guadagnavano di più. Nessuno aveva bisogno del supporto economico alle spalle. Poi l’altra ragione è la qualità. Abbiamo venduto merch da subito, trovato un contratto discografico da subito su MySpace. Non è mai successo che ci abbiano chiesto di pagare. E’ un
cancro, il più grande. Perché prima di tutto è una sorta di ricatto fatto illudendo le band, viene venduto il concetto di esposizione e promozione, ma non è mai funzionato fino in fondo. Esistono gruppi che hanno fatto tour con i nomi principali ma dal giorno dopo non se li è più inculati
nessuno. Chi ti dice di pagare non vale niente. Poi c’è un problema di dignità. Togli spazio a chi lo merita.